Ma è proprio vero che abrogare leggi ingiuste è impossibile prima di aver “cambiato i cuori”?

Molto spesso capita di ascoltare questa affermazione nel mondo pro-life. Sembra che non si possa abrogare una legge, neanche la più ingiusta del mondo, prima di aver “cambiato i cuori” o più in generale la cultura. La necessità di una battaglia culturale è evidente e lo è stato anche per i rivoluzionari della storia che infatti hanno sempre lottato per ottenere, riuscendoci, l’egemonia culturale (tramite il dominio sulla scuola ad esempio). Tuttavia v’è un difetto di impostazione in questo modo di concepire l’azione del mondo pro-life: sembrerebbe che l’uomo moderno non sia più in grado di agire rettamente prima che qualcuno dall’esterno “inserisca” in lui le giuste disposizioni per poterlo fare.
Una breve premessa sulla legge morale naturale potrebbe aiutare a inquadrare meglio la questione.
La legge naturale è una legge che deriva dalla natura, intesa come l’essenza delle cose che le ordina a determinati fini. Nel nostro caso, che siamo creature con una natura razionale, siamo ordinati all’ottenimento di beni confacenti alla nostra essenza (es. bere un bicchiere d’acqua soddisfa il bene della conservazione di noi stessi, se non bevessimo andremmo contro la nostra conservazione). Ora, tale legge naturale è già insita nel cuore di ogni singolo uomo in quanto fa capo alla sua natura razionale e qualunque essere umano ha una natura razionale (compresi coloro nei quali la ragione è offuscata).
L’intelletto, in particolare, è la facoltà dell’anima razionale deputata a riconoscere i beni cui naturalmente tende la natura umana, e successivamente li declina in norme morali: motivo per cui la natura umana tende al bene della vita, l’intelletto riconosce tale bene e da ciò discendono la necessità di difendere la vita e il corrispettivo dovere morale assoluto di non uccidere l’innocente.
La volontà è la seconda facoltà dell’anima dopo l’intelletto. Normalmente, l’intelletto prima riconosce un bene e poi la volontà si muove per ottenerlo. Il problema serio sorge quando la volontà non è più subordinata all’intelletto ma diviene essa stessa la misura della bontà o meno di qualcosa: a causa del sovvertimento rivoluzionario e della conseguente deriva soggettivistica, la volontà di taluni può giungere a desiderare persino ciò che ripugna alla ragione e perciò “costringere” l’intelletto a riconoscere come bene qualcosa che non lo è. Motivo per cui, nella “logica” abortista, se si vuole abortire allora si costringe l’intelletto a considerare l’aborto come un bene quando oggettivamente è un male intrinseco perché profondamente contrario alla natura umana per quanto detto sopra.
La declinazione, a livello statuale, della legge naturale è la legge positiva o umana. Vi sono tuttavia delle leggi che sono ingiuste in quanto contravvengono alla definizione stessa di legge – la quale è un “ordo rationis”, (ordine della ragione) – poiché legittimano o addirittura impongono ciò che è contrario alla ragione e che essa riconosce essere un male intrinseco (come nel caso della 194/78 e dell’aborto).
L’errore di alcuni pro-life sta nel non considerare debitamente il fatto che la natura umana è ciò che costituisce strutturalmente ogni uomo, che dunque è già capace di riconoscere la legge naturale a cui la legge positiva dovrebbe conformarsi. Semmai può subentrare un mancato riconoscimento della legge naturale come tale oppure, in presenza di un riconoscimento, una mancata attuazione dei doveri derivanti dalla legge naturale. Ciò è dovuto al fatto che l’uomo è dotato di un libero arbitrio condizionabile anche da fattori esterni all’uomo stesso: uno di questi è l’esempio della società a seconda di ciò che le sue leggi permettono, legittimano o ingiungono. Ogni legge, in tal senso, condiziona inevitabilmente i cittadini, la loro cultura, e dunque può essere strumento di formazione – quando la legge è giusta e indirizza il cittadino ad agire secondo il proprio bene e il bene comune – o di deformazione – quando la legge è ingiusta e per-verte il cittadino, ovvero lo fa deviare dal perseguimento dei beni cui la natura umana razionale tende.
In conseguenza di tali considerazioni, “cambiare i cuori” è un’espressione che potrebbe andar bene se si intendesse che bisogna e-ducare, ovvero condurre quanti più uomini possibili ad un corretto uso dell’intelletto e della volontà per muoversi verso il bene oggettivo. Ma cessa di essere valida quando tale processo di “cambiamento” si pone come presupposto dell’abrogazione di una legge, perché fintanto che tale legge vige nell’ordinamento giuridico, essa si muoverà culturalmente in senso contrario al suddetto processo! Perciò è necessario muoversi non tanto “in serie”, quanto “in parallelo”: e-ducare si deve e si può fare, ma parallelamente agire perché la legge ingiusta cessi di vanificare la battaglia culturale in questo senso.
La valenza di un tale ragionamento è anche pedagogica. Se si lotta contro l’aborto ma non contro la legge che lo permette e incentiva, con la scusa che gli uomini “non sono pronti” perché il loro cuore “deve cambiare” come si può risultare coerenti davanti a tali uomini perché cambino effettivamente?
Fabio Fuiano