Università di Bologna: mamma e neonata espulse
Una vicenda che ha dell’incredibile, ma che, a pensarci bene riflette il clima profondamente contro la vita in cui siamo immersi.
Il fatto è successo all’Alma Mater di Bologna e la protagonista è una giovane mamma, Emanuela Peracchi, la quale, insieme alla figlia Nina di poche settimane di vita, è stata buttata fuori da un’aula in cui stava seguendo alcune lezioni per il corso Tfa.
Emanuela aveva partecipato alle preselezioni del Tfa sul sostegno (corso di abilitazione per insegnare a bambini con disabilità), sostenendo l’orale il 30 maggio e partorendo pochi giorni dopo.
A fine giugno sarebbero iniziate le lezioni, della durata di otto mesi, dalle 9 alle 18 con la pausa pranzo di un’ora. La mamma aveva chiesto subito all’università come poteva fare; ovviamente non poteva lasciare la bambina a casa.
“Per i docenti non c’è nessun problema; affermano che non sono la prima né sarò l’ultima a studiare con una bambina. Ma il tutor del corso mi risponde che, per una questione assicurativa, non potevo entrare in classe con la bambina. Al massimo potevo seguire le lezioni dal corridoio. Ho frequentato lo stesso. I docenti mi hanno detto di non preoccuparmi, il personale mi metteva a disposizione un’aula in cui allattare o far riposare la bambina. Da notare che siamo due mamme con figli appena nati a frequentare”.
Tutto rimase regolare fino a quando, circa dieci giorni fa, lo stesso tutor che anche in precedenza le aveva creato problemi, davanti a tutti i corsisti (circa 200) urlò ad Emanuela che doveva fare una scelta: o seguire il corso o stare con la figlia.
Racconta poi Emanuela:
“Nina (che tra l’altro non ha mai disturbato durante le lezioni) mi ha sentito agitata ed è scoppiata a piangere. Non riuscivo a calmarla. Io volevo solo andare a lezione. A quel punto c’è stata una sollevazione dei compagni che si sono infuriati, difendendomi. Quindi hanno scritto una e-mail infuocata all’Ateneo, alla Commissione Pari Opportunità della Regione e all’Assessorato alle Pari opportunità del Comune”.
L’Ateneo si è scusato ed Emanuela ha continuato ad andare a lezione.
“Perché tacere? Ho alzato la voce per tutte le future mamme e anche per mia figlia. Questo le insegnerò”.
Quanto accaduto nella prestigiosa università bolognese dovrebbe farci riflettere. Invece di agevolare le giovani madri e le studentesse con bambini piccoli che studiano e lavorano, queste vengono umiliate e le viene imposto, come nel caso del tutor, di scegliere tra le lezioni e la figlia. Invece di incentivarle e di offrirle tutto il supporto possibile, il loro bambino viene trasformato in una scelta, come se su un piatto della bilancia ci fosse la carriera e l’università, e sull’altro l’essere madri e per fare bene la prima cosa è necessario rinunciare (uccidere con l’aborto) ai propri figli. Questa è la mentalità abortista. Come disse una volta Lila Rose, fondatrice di Live Action: “Per realizzare i propri sogni, le donne non devono uccidere i loro figli”. Quello che ci vorrebbe far credere il femminismo è che i figli sono solo un peso, un ostacolo al lavoro, alla carriera, allo studio.
Paradossalmente, in un mondo in cui si parla sempre di più di integrazione, si tagliano fuori proprio i bambini, le persone più importanti perché rappresentano il nostro futuro: quanti sono ormai gli hotel childfree ed i ristoranti che non ammettono bambini? Invece, quando si tratta però di rendere i luoghi più confortevoli per cani, gatti ed altri animali, allora lì sono tutti pronti ad agire (da tempo hanno introdotto in molti supermercati italiani un carrello in cui si può portare il proprio cane in un apposito seggiolino ed in questi carrelli non c’è più posto per il seggiolino per i bambini).
Chiediamo dunque alla politica, e soprattutto al nuovo Ministro per la Famiglia, agevolazioni per le giovani madri ma soprattutto una società più inclusiva nei confronti dei bambini. Come ha detto anche Emanuela, “non possiamo più tacere”.
Chiara Chiessi