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Si può essere persona pur non avendo un cervello

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Si può essere persona pur non avendo un cervello. Ogni attivista pro-life lo sa bene, trovandosi spesso a rispondere alle critiche di persone che sembrano non disporne. Considerando però che nessuno mette in dubbio i diritti di queste ultime, mentre ciò avviene per i piccoli esseri umani ancora nel grembo materno, sarà meglio concentrarsi sul caso degli embrioni ancora nelle prime fasi del loro sviluppo.

Molti sembrano trovare ovvio che non si possa essere persona, trovarsi metafisicamente o moralmente sullo stesso piano del tipico essere umano adulto, senza avere un cervello. Anzi, secondo alcuni autori come Baruch Brody [1] senza un cervello non sarebbe possibile neppure appartenere alla specie Homo Sapiens. Infine, non è difficile immaginare che tra coloro che si battono più strenuamente per il rispetto degli animali molti darebbero più valore a delle bestiole piuttosto che ad uno zigote umano.

Quanto all’affermazione di Brody, che è di carattere prettamente scientifico, ci si limita ad osservare che il consenso dei biologi contemporanei sembra contraddirla. Quanto alle posizioni filosofiche di cui sopra, meritano di essere analizzate più da vicino.

Quali potrebbero essere le ragioni per cui uno finisce per convincersi che sia necessario avere un cervello per essere persona? La più banale è l’assunzione che sia necessario essere cosciente, o esserlo stato in passato, o poter prontamente giungere ad essere cosciente per poter essere considerato persona. In questo caso però l’obiezione alla posizione pro-life ha a che fare più con la coscienza che con la presenza o meno di un cervello in sé stesso; quindi se ne rimanda la trattazione ad un altro articolo.

Per quanto riguarda la posizione che attribuisce propriamente al cervello un ruolo fondamentale nel determinare lo status di persona, si vedono due principali possibilità.

Chi la afferma potrebbe ammettere che non è possibile basare lo status di persona su una particolare funzione, come la coscienza, pensata come attualmente in corso, e che bisogna piuttosto fare riferimento a delle capacità, salvo poi collocare queste capacità in un particolare organo, cioè il cervello, come se fossero sue e solo sue ed in assenza di un cervello non si potesse in alcun caso parlare di capacità di pensiero razionale, volontà, eccetera.

Un’altra possibilità è che si voglia identificare completamente la persona umana con il suo cervello, secondo quella che alcuni hanno chiamato tesi neo-cartesiana. Così come Cartesio identificava propriamente la persona umana (in opposizione alla visione scolastica) con una sostanza immateriale legata solo estrinsecamente al corpo, come un fantasma dentro ad un macchinario, così la tesi neo-cartesiana identifica la persona con il suo cervello e considera il resto del corpo come un oggetto esterno profondamente connesso alla persona.

Si vedrà che la prima linea argomentativa, se applicata coerentemente al caso dell’aborto, porta a conclusioni assurde. Infatti, se si vuole far risiedere la potenzialità per il pensiero razionale esclusivamente nel cervello umano, bisogna scontrarsi con il fatto che non tutti i cervelli umani sono effettivamente capaci, nella loro condizione presente, di supportare forme di pensiero propriamente umane. Un individuo potrebbe trovarsi temporaneamente in coma, o anche semplicemente essere svenuto, e non avere modo di riprendere immediatamente conoscenza, ma allo stesso tempo aver modo di riprendersi dopo un certo tempo. Nessuno sosterrebbe che un simile paziente sia qualcosa piuttosto che qualcuno, o che sia privo di diritti. Eppure, una condizione del genere, insorta ad esempio dopo un trauma cranico, dipende proprio da una qualche alterazione nello stato del cervello, anche se questa alterazione potrebbe essere assai sottile e non coinvolgere degli stravolgimenti importanti nella struttura dell’organo, che sicuramente è strutturato in maniera parzialmente diversa nel caso di un feto.

Visto però che anche il cervello di un neonato deve svilupparsi ulteriormente prima di supportare fenomeni mentali specifici degli esseri umani come il linguaggio, questa argomentazione sembra legittimare l’infanticidio al pari dell’aborto;  il problema è comune a molti argomenti a favore dell’aborto [2]. Quanto meno bisogna dire che se uno desse credito a tale linea argomentativa non potrebbe essere sicuro che i neonati abbiano diritto alla vita: nessuno ha mai osservato nei bambini di poche settimane forme di coscienza che non si trovino anche negli animali, quindi è almeno dubbio che il loro cervello sia strutturalmente capace di forme di pensiero squisitamente umane, mentre si spera di poter essere d’accordo che i neonati hanno diritto di vivere e che su questo non c’è alcun ragionevole dubbio.

La tesi neo-cartesiana sembra andare ugualmente incontro a degli assurdi. I più basilari giudizi morali e la Legge riconoscono una profonda differenza tra il corpo di una persona ed un qualunque oggetto di cui questa può essere in possesso. Chiunque riconosce che in un’aggressione fisica o in uno stupro la vittima viene violata in maniera radicalmente più profonda di quanto non avvenga violando o danneggiando una sua proprietà, come avverrebbe sfasciandone l’automobile o violandone il domicilio. Tutto questo si armonizza meglio con una visione nella quale il corpo è veramente parte della persona piuttosto che con la tesi neo-cartesiana.

Gli assurdi a cui si è giunti sono sufficienti a scartare entrambe le versioni della tesi sulla necessità del cervello. Tuttavia, una confutazione è perfetta solo quando evidenzia l’origine dell’errore. In questo caso l’origine sembra essere comune ad entrambe e consiste in un disconoscimento della natura di organo del cervello.

Un organo, come dice l’etimologia, è uno strumento, un mezzo utilizzato da un intero, l’organismo, per uno scopo specifico. Il fatto che il cervello sia organo, cioè strumento al servizio di un organismo, indica che è l’organismo a identificarsi con la persona e non il cervello: le persone non sono interamente finalizzate al sostegno di altre entità biologiche; se così fosse avrebbero soltanto valore strumentale piuttosto che intrinseco.

Questa subordinazione del cervello all’organismo come di uno strumento ad un utente impedisce anche di situare esclusivamente nel cervello le potenzialità che dipendono da esso. Uno osserva giustamente che il cervello è necessario per ogni forma di coscienza e di pensiero ed è tentato di attribuirgli la capacità di coscienza e di pensiero ad esclusione del resto dell’organismo. Questo, nel caso dell’embrione umano, sarebbe come insistere che siccome è necessario un trapano per fare un buco nel muro, un uomo capace di costruire ed usare un trapano non è capace di fare un buco nel muro, se al momento non dispone di un trapano.

Qualcuno potrebbe infine sostenere che l’embrione non può essere persona, o addirittura non può essere vivo, fino alla comparsa di un’attività cerebrale, perché si ritiene comunemente che la morte coincida con la cessazione di ogni tale attività, e quindi per “simmetria” l’esistenza non potrebbe cominciare prima dell’attività cerebrale.

Tutto questo però ignora il fatto che il criterio di morte cerebrale è stato accettato, ad esempio nell’Uniform Determination of Death Act degli Stati Uniti, sulla base della convinzione che con l’attività cerebrale cesserebbe anche ogni attività dell’organismo per mantenersi un intero coordinato, cosicché resterebbe non più un organismo ma solo un aggregato di organi e tessuti relativamente indipendenti. Questa convinzione, che tra l’altro è stata messa in discussione negli ultimi anni [3], sicuramente non si applica al caso degli embrioni umani, che mostrano chiaramente di essere organismi anche prima di sviluppare un cervello. Visto che è di embrioni che si parlava, anche quest’ultima argomentazione cade.

[1] Abortion and the Sanctity of Human Life: A Philosophical View. Cambridge, MA: MIT Press, 1975.

[2] David B. Hershenov & Rose J. Hershenov, “If Abortion, then Infanticide” Theoretical Medicine and Bioethics 38 no. 5 (2017): 387-409.

[3] David Oderberg, “Death, unity, and the brain” Theoretical Medicine and Bioethics 40 no. 5 (2019): 359-379.

Matteo Casarosa

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