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L’aborto uccide sempre un figlio e a volte, tragicamente, anche la madre

Il titolo di questo articolo è tratto da una frase che scrisse Mario Palmaro nel libro “Aborto & 194, fenomenologia di una legge ingiusta” che gli Universitari per la Vita seguono come linea di formazione per la sacrosanta battaglia contro l’aborto.

È di pochi giorni fa che l’attivista pro-choice Maria de Valle Gonzalez Lopez, 23 anni, presidente di Gioventù Radicale nel municipio di La Paz, è morta dopo aver assunto il misoprostol per portare a termine un aborto farmacologico. Come è risaputo dalla letteratura scientifica e attestato anche da enti pro-choice come il National Abortion Federation (dunque non passibili di “esagerazioni”), l’aborto farmacologico può presentare diversi effetti collaterali che variano di entità a seconda delle persone, ma che possono essere molto gravi e finanche provocare la morte di chi vi si sottopone.

L’obiezione più comune che si sente è che tutti i farmaci hanno degli effetti collaterali, che peraltro si presentano con una bassissima probabilità su grandi campioni di popolazione e, dunque, il “gioco varrebbe la candela”. Verissimo! Il gioco vale la candela quando il farmaco viene somministrato con l’intento specifico di guarire uno stato patologico. Ad esempio, la comunissima aspirina, secondo i dati riportati nel foglietto illustrativo, può provocare raramente emorragie cerebrali e finanche la morte. Questo non ci scoraggia di certo quando ci troviamo ad assumere l’aspirina in concomitanza con i prodromi dell’infarto.

Ma cos’è che cambia tra l’assunzione di un’aspirina per l’infarto e del misoprostol per aborto chimico? Cambia chiaramente l’intento. In un caso vogliamo salvare la vita a noi o ad un altro. Nell’altro vogliamo toglierla sicuramente al figlio che giace nel grembo materno (non per sua scelta, intendiamoci). Di conseguenza nel primo caso stiamo accettando dei rischi poco probabili per salvare vite, nel secondo accettiamo gli stessi rischi per distruggere vite. Ovverosia, si accetta anche la possibilità di morire pur di uccidere un innocente. Ed è quello che ha fatto Maria Lopez, carnefice del proprio figlio e allo stesso tempo vittima di una propaganda ideologica mondiale che eleva l’aborto da delitto a “diritto”.

Ma ancor più evidentemente emerge quanto sia falso il mito per cui l’aborto sia brutto e cattivo solo quando è clandestino. Mario Palmaro aveva sfatato con grande lucidità il “non-argomento” abortista che pretende di legalizzare l’aborto solo perché esiste una condotta nella società che mette a rischio la salute o la vita delle donne: 

Il fatto che – abortendo clandestinamente – la donna si espone a un rischio per la sua salute e per la sua vita non costituisce in alcun modo una ragione per «legalizzare» quel comportamento. Rapinare banche a mano armata è operazione estremamente rischiosa per il rapinatore, oltreché per poliziotti, guardie giurate, cassieri, clienti e passanti. Ma questo non diventa un titolo di merito del rapinatore, o un argomento spendibile per «legalizzare» le rapine in banca. Anzi: questa pericolosità è uno degli elementi deterrenti, cioè dissuasivi, che spingono almeno una fetta dei potenziali rapinatori a dedicarsi ad altre attività, magari perfino oneste. Ora, anche nell’aborto clandestino la pericolosità è un elemento dissuasivo”.

E continuava:

Nessuno si augura che le donne periscano nel compiere un atto abortivo illegale; ma la responsabilità di quell’eventuale decesso non è in alcun modo ascrivibile allo Stato che vieta l’aborto, quanto a chi ha deciso di abortire contro la legge, e a chi ha prestato le proprie abilità tecniche alla commissione di quel reato. È l’aborto che uccide: uccide sempre il figlio; e qualche volta, tragicamente, anche la madre”.

Lo Stato dovrebbe vietare l’aborto in quanto delitto contro la sanità della stirpe nonché grave attentato al bene comune. Le tragiche storie come quella di Maria, dove nessun abortista si interroga sul perché sia successo quanto è successo, non fanno altro che scontrare l’ideologia con la realtà, con cui si dovrà sempre fare i conti.

Fabio Fuiano

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