La ricerca medica è morta!
Il titolo di questo articolo è volutamente provocatorio. Ma in questi tempi bui è quantomai necessario scuotere le coscienze e aprire gli occhi sulla realtà che ci circonda.
Il tempo dei compromessi é finito, anzi, deve finire. Non è più tempo di stabilire delle strategie che si ritengono più “praticabili” in virtù della situazione vigente a scapito della verità, proprio perché la situazione vigente deriva esattamente dalle “strategie” compromissorie: insomma è un circolo vizioso che va bruscamente interrotto.
Rendiamoci conto che con la depenalizzazione del suicidio assistito e l’introduzione dell’eutanasia (che, ribadiamo, è entrata nel nostro ordinamento giuridico ben prima, nel 2017, con la legge sulle DAT), cade l’ultimo baluardo rimasto che sanciva l’indisponibilità della vita umana.
Attorno a questo fulcro per lungo tempo hanno gravitato tutte le azioni mediche volte alla guarigione e alla cura del malato: finanche la ricerca scientifica per le malattie che, in un determinato momento storico, erano ritenute inguaribili (attenzione, MAI incurabili, perché ci si è sempre presi cura di una persona morente alleviando le sue sofferenze al massimo delle possibilità). Il nemico da combattere è sempre stata la malattia, non il paziente.
La ricerca scientifica ci ha donato i mezzi ad oggi più potenti tanto per le terapie volte alla guarigione del paziente (pensiamo agli interventi chirurgici più incredibili, come quelli in utero, oppure svolti con innovativi macchinari come il da Vinci, che permette ai medici di operare a distanza e con grande precisione chirurgica, eliminando così eventuali tremori della mano del chirurgo) quanto per le c.d. terapie del dolore, volte ad alleviare la sofferenza dei malati terminali.
Pensiamo anche allo sviluppo tecnologico permesso dall’ingegneria, che ha sviluppato complessi macchinari per il sostentamento del paziente sia nell’ambito cardio-circolatorio (pacemaker, protesi vascolari, protesi valvolari, macchine per circolazione extra-corporea), sia per la ventilazione polmonare (in caso di anestesia, o per impossibilità temporanea del paziente a respirare autonomamente).
Tutti questi mezzi fantastici, in un panorama in cui esistono suicidio assistito ed eutanasia, sono praticamente inutili. La ricerca, mossa proprio dall’indisponibilità e dalla sacralità della vita umana, è morta. Ora è stata sostituita dalla “ricerca” di tecniche sempre più veloci e pratiche per sopprimere i pazienti (sia quelli fisicamente sofferenti che quelli psicologicamente sofferenti, e non illudetevi, verrà instaurato presto il DOVERE di morire), basate sulla disponibilità della vita umana e sul concetto aleatorio e vacuo di “qualità della vita”. A che serve cercare nuovi metodi per curare quando la “soluzione” è uccidere?
La guerra è questa: indisponibilità vs disponibilità e sacralità vs qualità. L’oggettività contro la soggettività.
Se la ricerca scientifica non è guidata dalla sapienza (ovvero orientata al bene), non serve a nessuno, anzi, è dannosa. Un esempio eclatante è stato riportato da Jerome Lejeune, quando racconta che un medico americano, mentre studiava metodi fantasiosi per uccidere bambini nel grembo materno, non si era accorto di avere proprio sotto al naso una sostanza, l’acido folico, che se opportunamente somministrato avrebbe diminuito a dismisura la probabilità di malformazioni fetali. Si sono dovuti attendere 50 anni prima che tale sostanza venisse effettivamente usata per questo scopo.
Ecco cos’è la ricerca senza sapienza: una perdita di tempo. Una cosa che ha la potenzialità di salvare numerosissime vite e che viene usata per sterminarle.
Cui prodest? Riflettiamoci.
La nostra speranza è che ci siano ancora al mondo dei medici coscienziosi che amano la scienza sapiente, volta al vero bene dell’uomo e che non siano sottoposti a farsi ricattare da un’ideologia che vuole snaturarli, privarli della loro identità, dello scopo per cui sono divenuti medici: difendere la vita in ogni fase, dal principio alla fine!
Fabio Fuiano