Il pianto di Mohammed: uno squarcio sugli orrori dell’aborto
Febbraio 2018, reparto di ginecologia di un ospedale britannico: un’ostetrica corre per i corridoi tenendo in braccio un neonato e gridando disperata in cerca di aiuto. Il neonato si chiama Mohammed e il suo problema è essere sopravvissuto a un aborto. Cinque settimane prima, a Mohammed era stata diagnosticata una forma molto grave di spina bifida che secondo i medici gli lasciava pochissime possibilità di sopravvivere alla nascita. I suoi genitori, Sofia e Shakeel, decisero di abortire e la procedura fu praticata alla 25 settimana di gestazione, perché nel Regno Unito (e con alcune eccezioni persino in Italia), la legge non pone limiti agli aborti nei casi di malformazioni fetali. La procedura si svolse tramite l’iniezione intrauterina di digossina, che blocca l’attività cardiaca del feto, e il successivo utilizzo di laminarie per dilatare la cervice e di prostaglandine per indurre il travaglio.
I medici avevano definito l’iniezione “efficace al 100%”(dove per efficacia s’intende ovviamente la morte intrauterina del bambino) ma dopo qualche ora e dopo che due ecografie non avevano rilevato nessun battito fetale Sofia sentì il figlio che scalciava nell’utero e, sconvolta, lo comunicò all’ostetrica ma si sentì rispondere che era impossibile e che non c’era bisogno di eseguire un’altra ecografia. Dopo dieci ore di travaglio Sofia partorì Mohammed e lo sentì piangere. “Credevo di essere impazzita,” racconta la donna “credevo di sentirlo piangere perché era quello che volevo, il fatto che il mio bambino fosse vivo. L’ostetrica era sotto shock. Urlava per chiedere aiuto e si mise a correre con il bambino nel corridoio. Dopo me lo riportarono e mi chiesero cosa volevo che facessero. Non capivo cosa intendessero dire. Lo presi in braccio e lo coccolai e gli dissi quanto lo amavo. È stato un gran combattente: aveva un grosso buco nella spina dorsale ed era gravemente malformato ma ciò nonostante ha resistito per un’ora. Non posso evitare di pensare che volesse essere coccolato dalla sua mamma e che volesse che io guardassi il suo viso. Credo che la sua nascita e la sua morte siano state molto più traumatiche perché non ero preparata. Nessuno lo era. […] D’allora sono tormentata da un dolore che mi spezza il cuore e mi chiedo se ho preso la giusta decisione e se c’era qualcos’altro che si poteva fare. Nonostante questo dolore fortissimo sono felice di aver potuto passare del tempo con lui”.
La commissione d’inchiesta nominata dall’ospedale ha stabilito che la procedura abortiva è stata perfettamente eseguita e che, se nato a termine, il bambino avrebbe avuto “delle serie difficoltà”e ha lodato i genitori per aver preso “una decisione giusta e coraggiosa”. Nel certificato autoptico la causa della morte è definita “un’estrema prematurità determinata da una compassionevole interruzione di gravidanza”.
L’ospedale ha inserito nelle proprie linee guida un allungamento del periodo di controllo del battito fetale dopo l’iniezione di digossina. Per il sistema sanitario britannico l’unico insegnamento di questa vicenda così drammatica e surreale è quindi la necessità di assicurarsi che nessun altro bambino abbia il cattivo gusto di sopravvivere a un aborto. Nessuna richiesta di ottimizzare le cure prenatali e l’interazione con i genitori né di richiedere il parere di altri colleghi prima di proporre l’aborto come unica alternativa né di fornire informazioni esaustive sugli effetti collaterali degli aborti tardivi sulla salute psicofisica delle madri e sull’impossibilità di ottenere, come per tutte le procedure medico-chirurgiche, un’efficacia del 100% (come dimostra il fatto che negli USA, dove sono permessi anche in assenza di malformazioni, i sopravvissuti che arrivano all’età adulta sono così tanti da aver formato un’associazione).
Nessun operatore sanitario sarà punito per il martirio di Mohammed e per lo strazio patito da Sofia. Non ci sarà nessun processo per stabilire se si potevano curare le malformazioni con operazioni pre o postnatali (malformazioni che, ripetiamo, la commissione d’inchiesta non definisce incompatibili con la vita ma causa di“serie difficoltà”) e nemmeno per punire l’infanticidio di un bambino che, pur così prematuro e con il cuore lesionato da un infarto, è sopravvissuto per un’ora senza nessuna assistenza medica. Eccoli dunque i frutti avvelenati della legalizzazione dell’aborto: un mondo che ogni giorno sacrifica vittime innocenti in nome di una scelta usata come arma per liberare medici vigliacchi e incompetenti dalle proprie responsabilità e opprimere con pesantissimi sensi di colpa genitori confusi e impreparati. È veramente questo quello che vogliamo?
NOTA: in Italia i genitori che ricevono diagnosi prenatali infauste possono rivolgersi all’associazione La quercia millenaria, che offre assistenza medica e psicologica.
Fonte: The Sun
Grazie per la vostra missione. Mi corre l’obbligo di precisare che in Italia se il feto è considerato viabile, allora l’aborto procurato (IVG) è vietato, a differenza di quanto scritto nell’articolo. Roberto Festa (medico)
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La ringraziamo per la precisazione. Purtroppo sappiamo che in alcuni casi anche in Italia è possibile abortire oltre le 20 settimane, ma è a discrezione del medico decidere di non procurare aborto oltre un certo limite, la legge di per sé è, per disgrazia di tanti bambini, fin troppo interpretabile. Per questo abbiamo modificato il riferimento all’articolo modificandolo ma non eliminandolo in toto. Continui a sostenerci 😊
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