L’aborto non serve per salvare la vita della madre [pt. 2]

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Purtroppo, possono verificarsi delle situazioni dove anche il medico più pro-life non riesce a trovare un modo per salvare la vita e preservare la salute di entrambi i pazienti. In casi come questi, i dottori e i genitori sono chiamati a prendere delle decisioni difficili. In ogni caso esse devono essere guidate da chiari principi morali, tenendo presente che l’uccisione diretta di un innocente non è mai permessa.
Negli USA, la Conferenza dei Vescovi Cattolici ha prodotto un documento intitolato “Direttive etiche e religiose per servizi sanitari cattolici”. Questa pubblicazione fornisce linee guida per gli operatori sanitari cattolici su come orientarsi nelle situazioni mediche difficili in modo da rispettare la legge morale. Viene detto chiaramente al punto 45 di questo documento che “l’aborto (ovvero la diretta e intenzionale terminazione della gravidanza prima della nascita oppure la distruzione diretta e intenzionale di un feto) non è mai permesso. Ogni procedura il cui unico effetto immediato è la terminazione della gravidanza prima della nascita è un aborto, il quale, in questo contesto morale, include l’intervallo tra il concepimento e l’impianto dell’embrione”.
In altre parole, non si può mai, in nessuna circostanza, togliere direttamente la vita a un essere umano innocente.
Questo non significa che i dottori debbano rimanere indifferenti a quei casi in cui, durante la gravidanza, insorgono patologie che mettono a repentaglio la vita della madre. In questi casi si possono seguire strategie che combinino il profondo rispetto per la dignità e il valore della madre e del figlio con una valutazione realistica della situazione.
L’insegnamento cattolico spiega chiaramente come, in alcuni casi, si possa tollerare la perdita indiretta o non intenzionale della vita che può verificarsi quando si affronta una situazione medica critica, come ad esempio una gravidanza ectopica o un cancro all’utero, laddove non vi siano alternative disponibili.
Questo è noto come “principio del doppio effetto”. In generale, tale principio afferma che a volte è possibile compiere un’azione moralmente buona o neutra che porta a un effetto collaterale prevedibile e indesiderato. Forse il caso più emblematico di questo principio è la rimozione della tuba di Falloppio nel caso di una gravidanza ectopica. In tale situazione, la sezione della tuba intorno al bambino è divenuta patologica ed è una minaccia crescente per la madre e per il figlio. Idealmente, l’embrione potrebbe essere rimosso chirurgicamente dalla tuba e trasferito in sicurezza nell’utero, ma quest’opzione non è ancora una strada percorribile. Di conseguenza, la minaccia viene affrontata rimuovendo la tuba con l’effetto collaterale, non desiderato, che il bambino all’interno della tuba non sopravvivrà.
L’intento del chirurgo è diretto a un buon fine (combattere la patologia rimuovendo il tessuto danneggiato per salvare la vita della madre) tollerando l’effetto cattivo, che è la morte indesiderata del bambino. Il chirurgo sta scegliendo di agire direttamente sulla tuba, che è una parte del corpo della madre, piuttosto che direttamente sul bambino. La morte del bambino non è il mezzo attraverso il quale avviene la guarigione della madre; è con l’atto di rimuovere la tuba di Falloppio, non la successiva morte del bambino, che si ottiene il risultato curativo per le condizioni mediche della madre. Sebbene la morte del bambino sia prevedibile, non è l’esito voluto o desiderato dell’intervento medico che salva la vita della madre.
Come affermano le linee guida dei vescovi USA al punto 47: “Operazioni, trattamenti e medicazioni che hanno come scopo diretto la cura di una patologia proporzionatamente grave di una donna in gravidanza sono permessi quando non possono essere posticipati con sicurezza dopo la nascita del bambino, anche se comporteranno la morte di quest’ultimo”.
In alcuni casi, è doveroso sottolinearlo, alcune madri hanno scelto eroicamente di sacrificare la loro vita per far sì che i loro figli vivessero. Si conoscono diversi casi di donne che hanno scelto di posticipare le cure per il cancro, per esempio, dato che il trattamento avrebbe danneggiato gravemente o ucciso i loro bambini. Nel 2004, infatti, Papa Giovanni Paolo II ha canonizzato Gianna Beretta Molla, medico e madre che rifiutò un aborto e una isterectomia (che le avrebbe salvato la vita) per far vivere suo figlio.
Quest’opzione eroica non viene minimamente considerata dalla cultura abortista. In ogni caso, la speranza è che in una cultura davvero per la vita, si possano raccogliere risorse per trovare trattamenti che permettano di non ricorrere necessariamente ad una scelta del genere.
Nonostante la Chiesa Cattolica e l’etica pro-life abbiano sviluppato principi medici ed etici sofisticati e moralmente validi per gestire i diversi “casi critici”, i media e le organizzazioni pro-aborto continuano a confondere le acque sostenendo la necessità dell’aborto dal punto di vista sanitario, e affermando che, senza aborto legale, le donne morirebbero.
Ad esempio, molti propagandisti pro-aborto continuano a insistere sul fatto che rendere illegale l’aborto renderà illegali anche i trattamenti per condizioni come le gravidanze extrauterine. Tuttavia, come ha sottolineato Jonathan Turley in un articolo per Fox News, non solo questa è una bugia, ma è anche una bugia pericolosa. Come ha osservato, anche negli Stati in cui l’aborto è illegale, sono previste cure per la gravidanza extrauterina, pur comportando la morte del bambino. La legge dell’Oklahoma, ad esempio, afferma chiaramente: “Un atto non è un aborto se è compiuto con lo scopo di… rimuovere una gravidanza extrauterina“.
Come la dott.ssa Christina Francis, membro del consiglio dell’American Association of Pro-Life Obstetricians and Gynecologists, ha dichiarato di recente al Catholic Register, “curare una gravidanza extrauterina non è un aborto; è una procedura per salvare la vita di una donna”.
Padre Tad Pacholczyk, direttore dell’istruzione presso il NCBC, ha dichiarato: “È una grande leggenda metropolitana che vietare gli aborti elettivi diminuirà l’accesso a cure adeguate per le madri“.
Poiché un ospedale cattolico si prende cura sia della madre che del nascituro, deve impegnarsi a non oltrepassare mai una linea importante: togliere direttamente la vita di un essere umano innocente. Gli ospedali cattolici, tuttavia, sono in grado di fornire cure mediche appropriate che possono comportare la perdita indiretta, ma solo tollerata, del concepito, quando non fossero disponibili altre alternative. Chi è ammesso in istituzioni sanitarie cattoliche è cosciente di un fatto indiscutibile: chiunque sarà trattato utilizzando i più alti standard di assistenza medica e preservato da una diretta aggressione alla propria vita.
In effetti, come cattolici possiamo essere orgogliosi della nostra fedeltà ai principi morali fondamentali che costituiscono una società più umana. Uccidere direttamente un essere umano innocente, anche nella speranza di salvare la madre, significa macchiarsi intenzionalmente di un male intrinseco, anche se può seguire un bene. E come dimostra l’esperienza, non è neanche necessario dal punto di vista medico. Come osserva il NCBC, “Ripugnando sempre l’uccisione diretta di innocenti […] abbiamo messo in atto il quadro per salvaguardare la dignità umana alla sua radice“, nella comprensione che ogni vita ha un valore incomparabile dal momento del concepimento.
Fonte: Human Life International (data di pubblicazione 18/07/2022)
Traduzione e adattamento a cura di
Marco Pirlo