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Oltre gli slogan: la cruda realtà di eutanasia e suicidio assistito.

La recente bocciatura del referendum sull’omicido del consensiente (spacciato per eutanasia) da parte della Corte Costituzionale ha riacceso la discussione intorno a un tema che rimane divisivo per l’opinione pubblica. Al di là delle prevedibili reazioni dei sostenitori di questa pratica disumana, guardando a dati più oggettivi risulta evidente come il sostegno all’eutanasia abbia conseguenze tutt’altro che positive sulla vita delle persone.

È fresco di pubblicazione uno studio del Journal of Ethics in Mental Health che si occupa di analizzare la correlazione tra eutanasia e tassi di suicidio in Europa. Nello specifico ha confrontato la situazione in Svizzera, Olanda, Belgio e Lussemburgo (dove l’eutanasia è legale) rispetto agli Stati confinanti dove l’eutanasia non è legale. Lo studio è del professor David Albert Jones, direttore dell’Anscombe Bioethics Center di Oxford. Il dottor Jones è autore anche di un’analisi del 2015 dove si riscontrava come negli Stati degli USA dove era stato legalizzato il suicidio assistito si era riscontrato un incremento del tasso di suicidi totali rispetto agli altri Stati e nessuna diminuzione del tasso di suicidi non assistiti.

L’ultimo studio di Jones ha cercato di vedere se fosse fondato dal punto di vista statistico uno degli slogan più utilizzati dai sostenitori dell’eutanasia: legalizzare l’eutanasia potrebbe aiutare a salvare delle vite, perché se le persone sapessero con certezza quali opzioni ci sono per decidere come morire, non si ucciderebbero prematuramente.

Le conclusioni dello studio sono inequivocabili:

“Il tasso di suicidi non assistiti non è calato rispetto ai Paesi dove non è consentita l’eutanasia, mentre si riscontra un grande aumento dei suicidi (inclusi i suicidi assistiti). […] Ci sono forti evidenze del fatto che la legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito porteranno a un aumento del numero di persone che decideranno di concludere prematuramente la loro vita. Non salverà delle vite. Non aiuterà a prevenire i suicidi.”

Questo porta a due ulteriori riflessioni. La prima è che la legalizzazione di queste pratiche porti a una “normalizzazione dei comportamenti culturali, alla perdita del senso della preziosità della vita”1.

Nel momento in cui si comincia ad accettare il fatto che sia giusto e lecito che una persona possa decidere di porre fine alla sua vita, questo tipo di comportamento non viene più visto come moralmente sbagliato, ma viene accettato e difeso come diritto. Entra a far parte della cultura di un popolo. Un meccanismo riconducibile alla ben nota “finestra di Overton”. La seconda riflessione è in merito a un parallelismo tra la mentalità dietro all’eutanasia e dietro al legame tra contraccezione e aborto. Nel caso dell’eutanasia viene sbandierato che legalizzando il suicidio automaticamente si salveranno delle vite. Questo stesso tipo di “logica” è alla base della contraccezione venduta come mezzo per ridurre il numero di aborti. Come già spiegato in un altro articolo, questo assunto è (a) logicamente erroneo (sarebbe come dire: “gettiamo benzina sul fuoco” per estinguere un incendio); (b) moralmente inaccettabile (significa incentivare un male morale per il “bene”, solo presunto, di limitarne il raggio d’azione); ma è anche (c) smentito dai dati dal momento che, ad esempio,  all’aumento dell’uso della contraccezione non è seguita la prevista diminuzione del numero di aborti, anzi.

Come magistralmente commentato da Giuliano Guzzo in merito a questo stesso studio:

Il professore della St. Mary’s University, con il suo articolo, non ha insomma fatto alcuna rivoluzionaria scoperta. Ha però chiarito una volta per tutte quello che si temeva, e cioè che nessuna svolta legislativa verso la morte on demand è socialmente neutra; al contrario, promuove l’instaurarsi di una mentalità di morte e di rifiuto della vita destinata, a poco a poco, a dilagare. Alla faccia di quanti ancora assicurano – mentendo oppure non sapendo quello che dicono – che la questione del fine vita sarebbe tutta questione di «libertà individuale».”

Occorre andare alla radice di questa mentalità nichilista e autodistruttiva che sta pervadendo sempre più la società. Non stancarsi di ribadire e di testimoniare che “il valore inviolabile della vita è una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico. Così come non si può accettare che un altro uomo sia nostro schiavo, qualora anche ce lo chiedesse, parimenti non si può scegliere direttamente di attentare contro la vita di un essere umano, anche se questi lo richiede. Pertanto, sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto riconoscere la sua autonomia e valorizzarla, ma al contrario significa disconoscere il valore della sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore, e il valore della sua vita, negandogli ogni ulteriore possibilità di relazione umana, di senso dell’esistenza e di crescita nella vita teologale.” 2

Marco Pirlo

Bibliografia

  1. Cinzia Baccaglini in Il non riconoscimento del volto umano del concepito, quali conseguenze?, Associazione Culturale “La Torre”. Intervista disponibile qui.
  2. Lettera Samaritanus Bonus della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, cap. 3.

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