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Macron e Metsola: la prova che la battaglia pro-life non può essere solo politica.

Il 18 gennaio scorso il Parlamento Europeo, con 458 voti, ha eletto come nuova presidente la maltese Roberta Metsola, del Partito Popolare Europeo. Da più parti si sono levate comprensibilissime voci di speranza per le posizioni che ella aveva espresso nel 2018 circa la sua contrarietà all’aborto, nonché per la sua opposizione alla recente risoluzione del Parlamento Europeo proposta dal democratico Predrag Fred Matić. Ciononostante, durante la conferenza stampa successiva all’elezione, all’esplicita domanda di una giornalista, preoccupata per la posizione della Metsola, lei ha risposto:

Questo Parlamento europeo, su tutti i diritti sessuali e di salute riproduttiva, è senza ambiguità. Ha chiesto a più riprese che questi diritti siano meglio tutelati. […] È la posizione di questa istituzione. E posso confermare che mi impegno verso voi tutti, a difendere questa posizione come ho già fatto in veste di vice-presidente e una volta che mi hanno affidato la presidenza di questa istituzione

Le parole della Metsola sono gravissime, non solo perché difendono il male intrinseco dell’aborto, ma anche perché sono l’ennesima pubblica testimonianza di un compromesso col male. Come se non bastasse, il giorno successivo, alla presenza della stessa Metsola, il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, si è subito espresso a favore del riconoscimento di un “diritto all’aborto” nella Carta dei diritti fondamentali:

Abbiamo la Carta dei diritti fondamentali di 20 anni fa. Quindi dovremmo usare questa Carta per essere più espliciti sulla protezione dell’ambiente e sul riconoscimento del diritto all’aborto“.

Una breve riflessione sui recenti avvenimenti è d’obbligo. Come Universitari per la Vita ci siamo sempre battuti per una difesa della vita, in ogni sua fase, senza compromessi. Ribadiamo con forza che “compromesso” e “difesa per la vita” sono incompatibili: se esiste il primo, non può sussistere la seconda e viceversa. È fondamentale che il mondo pro-life acquisisca una forma mentis tale da riconoscere che, dato l’assetto politico attuale, la battaglia pro-life in una prospettiva meramente politica non è possibile. Siamo assolutamente convinti che la cornice in cui muovere i nostri passi per la difesa della vita innocente sia in primis realista, in secundis morale e, in ultima istanza, spirituale.

Realista, perché noi combattiamo questa battaglia come testimoni di una realtà che ci limitiamo solo a riconoscere. Infatti non possiamo pretendere, come fa la filosofia post-moderna, di modificare il fondamento della realtà e plasmarla con il nostro pensiero. Noi riconosciamo un dato di fatto: l’uomo è determinato da una natura razionale, oggettiva, immodificabile, costituita da corpo e anima, inscindibilmente legati tra loro. Tale natura, in ogni fase del nostro sviluppo, non è passibile né di diminuzioni, né tantomeno di annullamenti a seconda del contesto (es. malattia, sofferenza, menomazioni, malformazioni ecc.).

Morale, perché una volta preso atto della realtà particolare dell’essere umano, è possibile comprendere ciò che per esso è un bene o un male (ovvero privazione di bene). L’essere umano tende naturalmente ad alcuni beni. Il nostro intelletto può perciò distinguere atti umani (compiuti cioè per mezzo della libera volontà) buoni e malvagi a seconda che il fine di tali atti sia o meno conforme a quei beni cui la nostra natura razionale tende. Chiunque sa – anche chi lo nega – che il primo bene naturale di cui l’uomo gode, senza il quale nessun altro bene sarebbe possibile, è proprio quello della vita. Da ciò discende il dovere di tutelarla e un obbligo morale a non lederla in alcun modo. È per questo che un atto umano a tutela della vita è buono, mentre uno volto a lederla è malvagio. Su tale principio si fonda la necessità naturale di difendere la vita umana innocente e di pretendere l’abrogazione di quelle leggi che mirano a lederla (e.g., 194/78 per l’aborto procurato, 40/04 per la fecondazione artificiale, 219/17 per l’eutanasia).

Spirituale, perché l’orizzonte in cui si muove l’uomo non è solo naturale. Non possiamo continuare a negarlo per semplice rispetto umano o per paura di non essere “capiti”. L’essere umano nasce con una natura ferita dal peccato originale – potremmo dire “debilitata” – e perciò non è capace, con le sole proprie forze, di perseverare nel bene e salvarsi. Il nostro compito non è solo quello di tutelare la vita terrena, ma anche quello di santificarci e, cooperando con la Redenzione di Cristo, salvare anime.

Conseguenza pratica di tale prospettiva pro-life è la militanza quotidiana, ovvero una battaglia incessante nei luoghi dove ognuno di noi è chiamato ad operare (a lavoro, a scuola, in università, in famiglia, nella propria comunità parrocchiale). Essa può declinarsi in vari modi: (a) nella realizzazione di una fitta rete di persone accomunate dalla medesima battaglia, non necessariamente limitata ai confini nazionali; (b) nella formazione di quante più persone possibile, puntando sullo studio approfondito delle cause della cultura pro-morte per capire quali sono i suoi fini e come intralciarli; (c) nella circolazione delle idee pro-life tramite l’utilizzo di articoli e video formativi da condividere in rete, la stesura di libricini e di materiale informativo (dépliant o brochure e volantini) che riassumono le tematiche bioetiche rilevanti per la nostra battaglia; (d) incentivando la preghiera comunitaria, coinvolgendo anche i propri parroci per organizzare, almeno una volta al mese, una adorazione eucaristica con la specifica intenzione di pregare per la cessazione dei crimini contro la vita umana innocente.

Se ognuno farà la sua piccola parte, ma con zelo e perseveranza, allora idee come quelle espresse da Macron e Metsola, così come il compromesso e il “male minore”, cesseranno di essere la regola.

Fabio Fuiano

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