Non si può spezzare il legame tra una madre e i suoi figli.

Carole Horlock è considerata la madre surrogata più prolifica d’Inghilterra. Nel 2009 era stata inserita nel Guinness World Record, per aver dato alla luce 12 bambini in 13 anni.
Recentemente ha rivelato un episodio avvenuto nel 2004. Come previsto dal contratto, ha consegnato un bambino alla coppia che lo aveva commissionato. Tutto “normale” nell’ambito della maternità surrogata, se non che, dopo aver effettuato un test del DNA sul bimbo, si scoprì che era figlio di Carole e di suo marito Paul. Entrambi acconsentirono comunque all’adozione del bambino. La dichiarazione di Carole a riguardo esprime quanto la decisione presa fosse contraria a ciò che sarebbe stato naturale:
“Quel bimbo è stato generato accidentalmente tramite un atto d’amore tra me e mio marito. Non ne avevamo idea quando l’abbiamo consegnato alla coppia che l’aveva commissionato. Ci siamo tormentati nel decidere cosa fare, ma alla fine abbiamo deciso di lasciarlo a loro.
Le persone ci chiedono come abbiamo potuto lasciar andare così nostro figlio, ma di fatto molti dei bambini surrogati sono stati miei biologicamente. La differenza tra questo bimbo e gli altri è che questo è anche di Paul.
Viviamo nella speranza che lui sappia di noi, e che quando sarà maggiorenne avrà desiderio di conoscerci. Sono in contatto con la maggior parte dei miei bambini surrogati, ma non con lui. Abbiamo perso i contatti dopo un paio di anni. Col passare degli anni pensiamo a lui sempre più spesso. Paul ha iniziato ad avere problemi cardiaci e sarebbe straziante se non riuscisse mai a conoscere suo figlio”.
Se quell’atto fosse stato secondo natura, perché tormentarsi così? Forse perché si può ingannare se stessi, anche con le parole più dolci, ma non la propria coscienza. Queste dichiarazioni fanno trasparire aspetti ormai pervasivi della cultura odierna, per primo il fatto di specificare che il figlio è stato generato “accidentalmente”. Ora è vero che “come l’esperienza attesta, non da ogni incontro coniugale segue una nuova vita”1 essendoci dei periodi in cui vien meno la fertilità femminile, ma è altrettanto vero che “per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna”2. Non bisogna mai dimenticare che l’atto coniugale ha due significati, procreativo e unitivo, ove il primo è sovraordinato al secondo, che non possono essere separati, essendo “una connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa”3. Solo “salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità”4. Accettare il fine del matrimonio è un passo essenziale per riconoscere l’intrinseca dignità della vita umana.
Passando più specificatamente alla pratica della maternità surrogata, essa è stata già condannata da più parti, in quanto, si tratta di una chiara emanazione di quella cultura dello scarto già denunciata da Papa Francesco. Come egli stesso ha dichiarato il 30/01/2020:
“Il contesto socio-culturale attuale sta progressivamente erodendo la consapevolezza riguardo a ciò che rende preziosa la vita umana. […] Una società merita la qualifica di “civile” se sviluppa gli anticorpi contro la cultura dello scarto; se riconosce il valore intangibile della vita umana”.
Tutti i figli, anche quelli nati dall’innaturale pratica della surrogazione, sono comunque legati biologicamente alla madre, come peraltro lascia trapelare tra le righe Carole, anche perché si tratta di un legame che “esiste al di là della volontà di crearlo”, come ben spiegato dal prof. Giampaolo Nicolais:
“Nel grembo materno c’è il principio intercorporeo dello sviluppo, un dialogo serrato tra feto e madre che avviene fin dalle primissime ore dell’impianto embrionale. La gestante partecipa interamente alla formazione del bambino […]. Questo è il grande inganno per cui si può pensare che non affezionandosi al proprio bambino, come viene chiesto alle madri surroganti, si determini una possibilità di salvaguardia da possibili implicazioni emotive. Di solito non avviene così e tutti questi processi si attivano e si verificano indipendentemente dall’attaccamento o meno della madre durante i 9 mesi. Sono processi di natura intercellulare, di matrice biologica sostanzialmente. […] La maternità surrogata è una pratica inumana nella misura in cui non rispetta questo principio fondativo dell’essere umano” 5.
E, si deve aggiungere, non solo in questa misura: l’atto in sé non è solo “inumano” ma soprattutto profondamente contro la natura umana razionale. I meccanismi biologici descritti sono solo un’ulteriore conferma di ciò. Dunque, una pratica che separa la madre dai propri figli non può essere considerata degna, non può essere tollerata. Le conseguenze psicologiche (i.e., intendendo la psicologia come la scienza che studia l’anima, ndr.) emergono chiaramente nel racconto di Carole.
Occorre recuperare una visione in grado di dare il giusto valore alla vita, in ogni sua fase. Tornare a stupirsi e a meravigliarsi per ogni vita che nasce, per il dono incommensurabile di ogni bimbo che viene al mondo.
Marco Pirlo
Bibliografia
- Paolo VI, Enciclica Humanae Vitae, 11
- Paolo VI, Enciclica Humanae Vitae, 12
- Paolo VI, Enciclica Humanae Vitae, 12
- Paolo VI, Enciclica Humanae Vitae, 12
- Per approfondire, si raccomanda “La relazione madre – bambino” del prof. Giuseppe Noia, contenuta nel libro Una difesa della vita senza compromessi, Aracne, 2020.