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Eluana e Vincent: due condannati a morte per fame e sete!

Il caso di Vincent Lambert, ragazzo francese che vive in stato vegetativo da 11 anni a causa di un incidente stradale, riapre ancora una volta il violento dibattito sul delicato tema dell’eutanasia, tra disquisizioni di natura scientifica, bioetica e religiosa. Era il lontano 2009, quando il Tar impose alla Regione Lombardia di individuare una struttura sanitaria ove interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiali a Eluana Englaro, accogliendo così il ricorso presentato dal padre, il quale più volte dichiarò di aver agito nel rispetto della volontà della figlia, ricostruita attraverso testimonianze riportate da diverse amiche, secondo cui la stessa Eluana avrebbe ammesso di preferire la morte piuttosto che sopravvivere priva di coscienza e completamente dipendente dalle cure altrui. Ora, anche volendo ammettere l’improbabile ipotesi che una ragazza di soli 17 anni abbia veramente stabilito il proprio destino di fronte a un’eventualità così drammatica, resta difficile immaginare, se non impossibile, che possa averlo fatto con coscienza piena. Quello della giovane Eluana può dunque definirsi (fuor di metafora) il primo caso di condanna a morte eseguito da un tribunale italianoattraverso una sentenza a mio giudizio incostituzionale. 

Ma al di là di ogni possibile considerazione di ordine giudiziario, vorrei concentrare l’attenzione su un sentimento virtuoso che ognuno di noi ha acquisito almeno in senso teorico, a partire dalla propria formazione scolastica e religiosa, e che poi ho avuto modo di maturare in senso pratico da studente di medicina, tra aule universitarie e reparti ospedalieri. Uno spirito che guida gli uomini attraverso la scienza, come attraverso la fede in Dio, che per mezzo della sua grandezza la contiene, è la speranza. «Credo quia absurdum», diceva Tertulliano, per intendere che è proprio di fronte all’impossibile che occorre avere fede. In questo senso, la speranza di chi crede in Dio non è diversa da quella di uno scienziato o di un medico che ogni giorno si adopera affinché le sue scoperte o le sue cure abbiano successo. Perché, quindi, non dovrebbe essere allo stesso modo per un genitore? Un padre che crede in Dio ha in sé la speranza che Egli, in qualche misura, possa intervenire con le proprie mani a far risorgere il figlio malato; un padre che crede nella scienza, invece, ha in sé la speranza che il progresso scientifico possa portare un giorno a qualche scoperta utile alla sua guarigione. In questa logica, è inevitabile pensare che il padre di Eluana si sia assunto una responsabilità senza avere alcuna certezza, condannando ineluttabilmente la propria vita e quella della figlia al più tragico dei destini, quello degli uomini che hanno smarrito la propria speranza. 

La storia si ripete con Vincent Lambert, ma questa volta sono i genitori a lottare contro lo Stato per difendere la vita del figlio. E mentre la madre gli chiede di non piangere e di credere fino in fondo che gli uomini, quelli coscienti, non perdano la propria umanità e difendano quella degli altri, il governo francese è intento a rovesciare la decisione della Corte d’Appello di Parigi di riprendere l’alimentazione e l’idratazione che erano state sospese. Un mondo al contrario, insomma. In cui la barbarie sembra aver preso il sopravvento e le anime dotte e sensibili pronte a lottare in difesa della ragione e del buonsenso, che inevitabilmente coincidono con la vita, sono sempre di meno. 

Volendo rivolgere il mio sguardo al futuro, non tradirò il messaggio di questo articolo dichiarandomi diverso rispetto a ciò che ho scritto. Parimenti, però, non posso fare a meno di descrivere nel peggiore dei modi la piega storica in cui ci troviamo a vivere. D’altra parte, se quella che sta avanzando in questa Europa di progressisti retrogradi è una cultura di morte, perché senza speranza, a noi non resta che ripetere, convincendocene: «Credo quia absurdum». 

Andrea Sgarbossa

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