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Ecco perché è necessario giudicare!

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Un’argomentazione che spesso dobbiamo leggere o sentire è la seguente: “una donna non può essere giudicata, ognuno è libero di fare quello che vuole e nessuno può puntare il dito! Nessuno può obbligare una donna a fare ciò che dite voi“.

Questa affermazione è essenzialmente falsa perché parte da presupposti falsi. Peraltro è auto-confutante, dato che esprime un giudizio. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di impostare una base solida per la discussione.

Ogni azione che noi compiamo è buona o cattiva e ha una sua conseguenza, questo dovrebbe essere pacifico. Persino le azioni più semplici come bere un bicchiere d’acqua non sono indifferenti. Ma come si stabilisce se un’azione è buona o cattiva? Quali sono i parametri di valutazione? Perché alcune azioni sono cattive e altre buone?

Il primo principio da tenere a mente, anche se può sembrare banale, è che un’azione se non è cattiva, allora è automaticamente buona, poiché bene e male si escludono a vicenda e non possono co-esistere. Delle due l’una.

A questo punto andiamo un po’ più a fondo. Ogni azione ha tre elementi principali che la contraddistinguono. Questi elementi sono i seguenti:

  1. L’OGGETTO: ovvero il fine oggettivo ed intrinseco dell’azione. Ad esempio tutti concordiamo che l’omicidio sia un atto intrinsecamente malvagio perché priva della vita un essere umano. Così anche il furto, perché priva una persona di un bene in suo possesso.
  2. L’INTENZIONE: ovvero il fine soggettivo dell’azione. Riprendiamo in considerazione l’omicidio: mettiamo che, maneggiando un fucile per sbaglio parta un colpo e il proiettile uccida una persona. Come possiamo vedere, l’oggetto dell’azione è che ho ucciso un uomo, ma certamente la mia intenzione non era quella di ucciderlo. Diverso sarebbe se usassi quel fucile, volontariamente ed intenzionalmente, per uccidere un uomo (anche per questo in giurisprudenza esiste la distinzione tra omicidio colposo, volontario e preterintenzionale).
  3. LE CIRCOSTANZE: ovvero il contesto in cui viene effettuata l’azione. Queste possono aggravare o attenuare la colpa dovuta al fine oggettivo, ma senza cancellarla. Ad esempio, se il furto ha riguardato il bene di una persona ricca, con tale azione la mia colpa è sempre quella di un furto, ma sarà certamente “meno grave” rispetto all’eventualità in cui il furto fosse eseguito a scapito di una persona già povera, della quale viene rubato l’unico bene che ha a disposizione.

L’intenzione è l’unico parametro tra questi di difficile valutazione e non può essere conosciuto se non dalla persona che commette l’atto in sé, a meno che tale persona non condivida la propria intenzione con qualcun altro, oppure metta in atto azioni intrinsecamente malvagie in maniera pertinace che manifestino chiaramente la sua intenzione.

Alla luce di questi parametri diviene quasi automatico ed evidente, che un giudizio è necessario soprattutto per il primo e l’ultimo punto. Possiamo quindi distinguere tre tipologie di giudizio: il giudizio oggettivo, il giudizio alle intenzioni e il giudizio sulle circostanze. Data la natura aleatoria dell’intenzione, il giudizio alle intenzioni è l’unico tra questi tre che non può essere dato da terzi (a meno di una certezza dell’intenzione).

Ma il giudizio oggettivo, riguardante la natura intrinseca dell’atto compiuto è necessario, dovuto, perché fa capo alla necessità di rispondere alla legge naturale insita in ognuno di noi. Privare della vita un essere umano innocente è un atto OGGETTIVAMENTE ingiusto, indipendentemente dalle circostanze (che ribadiamo, attenuano o aggravano la colpa ma non la eliminano) e dall’intenzione. Dobbiamo ri-abituarci, a giudicare la realtà secondo questi parametri, altrimenti non ne usciamo.

Perché la frase iniziale è errata? Perché nessuno vuole niente da nessuno, nessuno vuole puntare il dito contro la donna in sé, non si tratta di obbligare. Non uccidere l’innocente è un obbligo intrinseco, che pre-esiste alla nostra volontà o meno che qualcuno vi adempia. Chi uccide un innocente, che sia tramite l’aborto, l’eutanasia o altri mezzi, si macchia di una colpa OGGETTIVAMENTE grave, indipendentemente da quello che uno pensa o crede e peraltro non sta usando la propria libertà, bensì sta ledendo la libertà di un altro (il figlio). Se una cosa è oggettiva, significa che la sua natura non dipende da un pensiero, ma è al di là del pensiero stesso, esattamente come il cielo rimarrebbe blu e le foglie rimarrebbero verdi anche se il mio pensiero volesse “costringerli” ad essere di un altro colore. La libertà non può essere assoluta, ma è vincolata ad un suo utilizzo buono, altrimenti tutti potrebbero fare tutto. Se qualcuno volesse uccidere chi ha fatto la precedente affermazione, probabilmente lui o lei si ribellerebbe (esprimendo quindi un giudizio sull’atto e a buona ragione!).

Se non potessimo giudicare nulla, allora non avrebbe senso la colpa, non avrebbe senso la pena, non avrebbe senso il vivere civile e piomberemmo nell’anarchia totale.

Facciamo due esempi pratici:

  1. Qualora una donna commettesse intenzionalmente l’atto abortivo, al di là della circostanza (stupro, situazione sociale, situazione finanziaria), commetterebbe un atto che oggettivamente è un male, perché sta contravvenendo alla legge naturale insita in noi del non nuocere all’innocente. La circostanza poi può cambiare a seconda che uccida il figlio prima della nascita o dopo, perciò si distingue tra aborto ed infanticidio. Tuttavia, proprio in virtù del male oggettivo, il passo tra l’uno e l’altro è breve, tant’è che convinti abortisti come Peter Singer sono arrivati a legittimare anche l’infanticidio sebbene con numerosi sofismi che potrebbero indurre il lettore in confusione e ostacolare un chiaro giudizio.
  2. Dato che recentemente se ne sta discutendo molto, parliamo di omicidio del consenziente e di aiuto al suicidio (regolati dal c.p. articoli 579-580). Di nuovo l’oggetto è intrinsecamente un male perché si priva della vita un essere umano. La circostanza è palesemente diversa da quella dell’aborto, ma come si vede non cambia l’oggetto dell’atto. Abrogare anche uno di questi articoli del codice penale costituirebbe una palese violazione della vita umana perché legittimerebbe un atto oggettivamente malvagio. Le conseguenze di ciò sarebbero troppo catastrofiche per parlarne, e una di queste sarebbe la totale liberalizzazione dell’eutanasia nel nostro paese (già parzialmente presente con la legge sulle DAT, 219/2017 che può prevedere interruzione di nutrizione e idratazione: atto omissivo, ma intenzionale, che procura la morte).

Speriamo di aver fatto un po’ di chiarezza e di aver dato nuovi elementi di valutazione. Non abbiate paura di giudicare, anzi, giudicare con retto giudizio è un dovere morale alla base del nostro essere!

Fabio Fuiano

 

1 commento »

  1. Penso che sia uno degli articoli più belli che abbia mai letto; innanzitutto avete il coraggio di scrivere cose che pochi farebbero e poi sono rimasto estasiato dall’argomentazione utilizzata e soprattutto il modo in cui è stata composta. Complimenti.

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  2. Dolentissima per voi – e soprattutto per i vostri poveri fegati votati, a quanto pare, allo schiantarsi per saecula saeculorum – ma per quanto voi possiate giudicare, ci sarà sempre chi se ne fregherà del vostro giudizio.
    L’aborto è omicidio? Perfetto, chi lo nega?
    Semmai siete voi a negare (o a non voler prendere atto) che l’aborto non fa a tutti lo stesso effetto, pur nella consapevolezza che si tratti di omicidio.
    C’è chi ha interrotto anche più di una gravidanza semplicemente perché non voleva figli tra i piedi e senza, per questo, essere obbligata a rinunciare alla vita sessuale o a rovinarsi il fisico con gli ormoni della pillola o le allergie al lattice dei profilattici (giusto per fare un paio di esempi spiccioli)… il tutto sapendo perfettamente di uccidere e senza farcisi il minimo problema.
    Da notare che la classica frase “E se avessero abortito te?” è un dichiarare fallimento in partenza: la morale della “reciprocità” e del “non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te” non è applicabile in modo coattivo… detto altrimenti il non essere stati abortiti non implica obbligo di non abortire.
    Direi che il problema sia proprio qui: da parte vostra c’è la pretesa di veder considerati universalmente validi i vostri dettami etici, mentre moltissime donne – ben lungi dall’essere traumatizzate dall’aborto, ma anzi decisamente sollevate dall’essersi liberate di una scocciatura – dell’etica e della morale prendono atto e se ne infischiano.

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    • Prendiamo dunque atto che se un giorno qualcuno volesse uccidere te perché ti ritiene una “scocciatura” tu non avrai nulla da ridire e ti farai uccidere tranquillamente in nome del “rispetto” dell’autodeterminazione del tuo assassino. Grazie per averci confermato che traete piacere dall’uccidere e del diritto dell’ucciso a non essere toccato ve ne infischiate altamente. Un cinismo da far paura, ma quantomeno coerente.

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