La Corte Costituzionale tutela i diritti degli obiettori
L’obiezione di coscienza non equivale ad una “gentile concessione” al singolo da parte dell’ordinamento giuridico, bensì, come già detto, ad un diritto riconosciuto e regolamentato, atto dovuto verso il cittadino, come afferma la stessa Corte Costituzionale che nel definire la coscienza come “la relazione intima e privilegiata dell’uomo con se stesso”, dichiara: “A livello dei valori costituzionali, la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, dal momento che non può darsi una piena ed effettiva garanzia di questi ultimi senza che sia stabilita una correlativa protezione costituzionale di quella relazione intima e privilegiata dell’uomo con se stesso che di quelli costituisce la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico. In altri termini, poiché la coscienza individuale ha rilievo costituzionale quale principio creativo che rende possibile la realtà delle libertà fondamentali dell’uomo e quale regno delle virtualità di espressione dei diritti inviolabili del singolo nella vita di relazione, essa gode di una protezione costituzionale commisurata alla necessità che quelle libertà e quei diritti non risultino irragionevolmente compressi nelle loro possibilità di manifestazione e di svolgimento a causa di preclusioni o di impedimenti ingiustificatamente posti alle potenzialità di determinazione della coscienza medesima.”
Nel passaggio successivo, la Corte enuncia l’obbligo per il legislatore di riconoscere l’obiezione di coscienza con l’utilizzo di una forma verbale – “esige”– che non permette elusioni: “Di qui deriva che – quando sia ragionevolmente necessaria rispetto al fine della garanzia del nucleo essenziale di uno o più diritti inviolabili dell’uomo, quale, ad esempio, la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici (art. 21 della Costituzione) o della propria fede religiosa (art. 19 della Costituzione) – la sfera intima della coscienza individuale deve esser considerata come il riflesso giuridico più profondo dell’idea universale della dignità della persona umana che circonda quei diritti, riflesso giuridico che, nelle sue determinazioni conformi a quell’idea essenziale, esige una tutela equivalente a quella accordata ai menzionati diritti, vale a dire una tutela proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essi riconosciuti nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana.” (Sentenza 467/1991 – Corte Costituzionale)
Il codice di deontologia medica ci dice che la professione medica è finalizzata alla tutela della vita e della salute e al lenimento della sofferenza. Nessuno potrebbe dire, quindi, che l’attività medica ha come elemento caratteristico della professione il poter agire a danno di un bene inviolabile come la vita o l’incolumità. Oggi in Italia i medici obiettori (per quanto attiene alla specifica questione relativa all’interruzione volontaria di gravidanza) sono oltre l’80%, una percentuale che negli ultimi trent’anni ha registrato una crescita del 17% circa ed è un fatto assolutamente incontestabile che, nel nostro ordinamento giuridico, l’obiezione di coscienza rappresenti un diritto costituzionalmente garantito, che non trova il suo fondamento solo ed esclusivamente nella nostra Carta fondamentale, come precedentemente sottolineato, ma attualmente anche a livello europeo, in particolare nella Risoluzione 1763 del Parlamento Europeo (Risoluzione del 7.10.2010 sul diritto all’obiezione di coscienza nell’ambito delle cure mediche legali) che è molto netta nel disporre che nessuno può essere costretto ad agire contro la vita umana, né discriminato per questa scelta, con un riferimento molto chiaro anche rispetto allo stato embrionale della vita umana.
Rachele Lovatti
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