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Obiezione di coscienza: il caso italiano

Per quanto riguarda il caso italiano, nello specifico ambito della legge 194/1978, la questione afferente all’obiezione di coscienza viene affrontata all’art. 9 che stabilisce quanto segue: “Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.” … e prosegue al comma III: “l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.

Notiamo, innanzitutto, che l’art. 1 della legge 194/1978 afferma: “Lo stato tutela la vita umana dal suo inizio”e soprattutto che l’art. 1 della legge n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) dice una cosa in più, ovvero: “la legge … assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”: da ciò è molto semplice puntare l’attenzione e riflettere su un dato fondamentale, cioè sul totale non-sense delle normative in questione, in quanto sono proprio le stesse leggi che autorizzano di fatto la violazione dei diritti fondamentali del concepito ad affermare, addirittura nell’articolo di apertura dei rispettivi testi, la tutela del concepito come soggetto di diritto, disvelando pertanto, fin dalle prime battute, tutta la contraddittorietà del loro dettato legislativo. È un’affermazione di una portata fondamentale, che tra l’altro è sempre stata ripresa dalle sentenze recenti della Corte costituzionale, fondamentale perché nella legge 40/2004 si usa la locuzione “tutti i soggetti coinvolti compreso il concepito”, quindi c’è un riconoscimento esplicito che quella vita umana che si tutela è un soggetto, è un titolare di diritti. L’articolo 1 della legge 40/2004 non solo fa riferimento al temine soggetto ma usa significativamente il participio passato concepito, indicando dunque che questo soggetto è tutelato dal momento del concepimento (la stessa Corte Costituzionale, nella nota sentenza 27/1975, in cui dichiarava incostituzionali le precedenti leggi in tema di aborto, ha riconosciuto pienamente che il concepito, dal concepimento, è coperto dall’articolo 2 della Costituzione, riconoscendo questo soggetto come titolare di diritti inviolabili).

È pertanto evidente ed incontestabile il fatto che alla base del nostro ordinamento giuridico dovrebbe esserci la VITA come primo diritto fondamentale, che va protetta e tutelata fin dal suo inizio, fin dal concepimento.

Nello specifico caso dell’aborto, il medico si trova dunque di fronte “al difficile bilanciamento di interessi – quelli della madre e quelli del concepito – ritenuti dall’obiettore del tutto omogenei, interessi che nell’interruzione volontaria di gravidanza vengono ad avviso del medico obiettore a contrapporsi creando un  drammatico conflitto con la sua coscienza” (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Commentario…,79).

Il bravo medico, quello che agisce in piena “scienza e coscienza”, è proprio colui che nello svolgimento della sua professione si pone problemi di coscienza, di etica, di tutela e rispetto assoluto della dignità, dell’incolumità e della vita dell’altro. Pertanto, il medico che esercita obiezione di coscienza, non è – come superficialmente si potrebbe intendere – un medico che pone ostacolo all’applicazione di una legge dello Stato, bensì è un medico che, ponendosi un problema di coscienza, nel pieno esercizio di un suo diritto, rimane fedele al rispetto di uno dei diritti fondamentali più importanti, protetti dal nostro ordinamento, ossia il diritto alla VITA (fin dal suo concepimento), andando in contro così, prima di tutto, alle esigenze di tutela della vita del nascituro.

Infatti  “a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale esso necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita” (preambolo della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, citando il preambolo della Dichiarazione approvata dall’ONU sui diritti del fanciullo), nonché alle esigenze di tutela della dignità della donna, nell’ottica della valorizzazione della sua stessa natura non di semplice donna, bensì di madre, stante il fatto che, come affermato dal Professor Mario Palmaro nel suo libro “Aborto & 194 – Fenomenologia di una legge ingiusta”, quando una donna ha concepito un figlio, non è più nella condizione di scegliere se diventare madre. Madre lo è già. C’è già un figlio, un nuovo cittadino, un soggetto di diritto.

Rachele Lovatti

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