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Storica sentenza della Corte Suprema spagnola contro l’utero in affitto

In Spagna è stata deliberata dalla Corte Suprema una sentenza durissima contro la pratica dell’utero in affitto, non esitando a definire questa pratica “un’attentato alla dignità umana”. La nota esplicativa è estremamente chiara e diretta in merito:

“La Corte Suprema dichiara che il contratto di gestazione per sostituzione della causa in giudizio comporta un pregiudizio all’interesse superiore del minore e uno sfruttamento della donna inaccettabile. Entrambi sono trattati come meri oggetti, non come persone dotate della dignità della loro condizione di esseri umani e dei diritti fondamentali inerenti a tale dignità. La madre surrogata è obbligata fin dall’inizio a partorire il bambino e rinuncia già prima del parto, ma anche prima del concepimento, a qualsiasi diritto derivato dalla sua maternità; è costretta a sottoporsi a cure mediche che mettono a rischio la sua salute e che comportano rischi aggiuntivi per le gravidanze derivanti da un rapporto sessuale; rinuncia al diritto alla privacy e alla riservatezza medica; nel contratto vengono stabilite anche questioni come l’eventuale interruzione della gravidanza, come sarà il parto (con taglio cesareo), cosa si può mangiare o bere, le abitudini di vita, i rapporti sessuali sono vietati, viene limitata la libertà di movimento e di soggiorno; la madre surrogata accetta di sottoporsi a test casuali su droghe, alcol o tabacco senza preavviso su richiesta della futura mamma; e, infine, la decisione se la madre surrogata debba rimanere in vita o meno in caso di malattia o infortunio potenzialmente letale è attribuita ai committenti.”

I limiti che vengono imposti all’autonomia personale e all’integrità fisica della madre sono stati giudicati come incompatibili con la dignità umana della madre, così come il fatto che Il futuro figlio, privato del diritto di conoscere le proprie origini, sia a tutti gli effetti ‘reificato’ perché considerato come oggetto di un contratto, che la madre surrogata è obbligata a consegnare al committente. Concetti che sono ovvi per chiunque sappia giudicare la realtà senza filtri ideologici.

Sempre in merito a questa sentenza, va ricordato che, nella maggior parte dei casi, le donne che si sottopongono a questo tipo di contratto per avere un bambino destinato ad altri provengono da contesti disagiati. “Non è necessario un grande sforzo di immaginazione per avere un’idea completa della situazione di vulnerabilità economica e sociale in cui si trova una donna che accetta di sottoporsi a questo trattamento disumano e degradante che viola i suoi più elementari diritti alla privacy, la sua integrità fisica e morale, e sminuisce la sua condizione di persona libera e autonoma, dotata della dignità di ogni essere umano”, affermano i giudici. E dietro a tutto, aggiungono, ci sono agenzie che traggono profitto da questo business, che “agiscono senza alcun impedimento nel nostro Paese, pubblicizzano la loro attività”, spesso tramite celebrità che pubblicizzano la nascita di bambini tramite questo sistema (metodo peraltro utilizzato anche in Italia, come nel caso di Tiziano Ferro) “senza che le amministrazioni competenti per la tutela dei minori prendano alcuna iniziativa per rendere efficace tale tutela, anche per verificare l’idoneità dei committenti”.

La speranza è che questa sentenza possa costituire un’importante precedente su questi temi, come espresso dalla deputata Alicia Rubio in un’intervista rilasciata a InfoCatòlica

“Speriamo che stabilisca un precedente. E che impedisca la nascita di nuove leggi che vogliono regolare la maternità surrogata. Un seno materno e un bambino non possono essere commercializzati. Dobbiamo fermare questa deriva dove gli esseri umani sono cose e il loro valore è limitato solo alla loro utilità o alla loro possibilità di essere consumati. E questo è un buon inizio. D’altra parte, l’utero in affitto ha messo sotto i riflettori per le femministe l’evidente umanità dell’essere umano nella sua fase di gestazione e potrebbero iniziare a dubitare che se non può essere venduto, non può nemmeno essere ucciso”.

Articolo originale pubblicato su InfoCatòlica

Traduzione e adattamento a cura di Marco Pirlo

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