Il pendio sempre più scivoloso del suicidio assistito

L’Oregon è stato il primo Stato americano a legittimare il “diritto” alla morte, nel 1996. Da allora, la sua legge è diventata un modello di riferimento non solo per gli Stati Uniti, ma anche per l’Australia ed altri Paesi. Una differenza significativa rispetto agli altri Stati però è che l’Oregon pubblica ogni anno un report contenente statistiche riguardanti l’ambiente delle persone che chiedono di morire, la gestione dei farmaci letali, il ruolo del dottore, e il momento della morte.
Premesso che tali leggi devono sempre essere moralmente condannate, in quanto legittimano degli atti profondamente contrari alla natura umana e all’ordine naturale, si può avere una ulteriore riprova della loro iniquità anche dai dati forniti dai report sulla loro applicazione. Le altre giurisdizioni raccolgono e pubblicano poche informazioni, rendendo difficile una critica (basata sui dati ndr.) a questo tipo di leggi. Questo rende il report annuale dell’Oregon molto importante, in quanto serve come indicatore per valutare la debolezza di queste leggi anche altrove. È un segnale della normalizzazione del suicidio assistito che i media portano avanti.
Il report del 2021 non è molto diverso da quello del 2020. Fino al 21 gennaio, 238 persone sono morte nel 2021 ingerendo i farmaci prescritti. Un dato in leggero calo rispetto al 2020, quando morirono 259 persone. La maggior parte dei pazienti aveva almeno 65 anni (81%), aveva frequentato l’università (45%) ed era bianca (95%). Le malattie che hanno maggiormente portato alla decisione di morire sono state cancro (61%), disturbi neurologici (15%) e malattie cardiache (12%).
Le cause principali per cui è stata richiesta la morte sono “perdita di autonomia” (93%) e “minore capacità di svolgere attività in grado di rendere gradevole la vita” (92%). Solo il 27% ha parlato di “gestione inadeguata del dolore o preoccupazione per esso”.
Altre statistiche minori ma comunque degne di nota sono le seguenti:
- È leggermente aumentato il numero di complicazioni. Cinque persone (erano state tre nel 2020) ha avuto “Difficoltà nell’ingerimento/rigurgito” e una persona “Ha ripreso conoscenza dopo aver ingerito i farmaci letali”. Ma, come al solito, per oltre la metà dei pazienti non c’erano informazioni disponibili riguardo alle complicazioni. Forse sono stati ancora di più i pazienti che hanno avuto complicazioni? Impossibile dirlo.
- Per la prima volta, l’anoressia è stata inserita come causa di morte. In altri Stati, questo è illegale. Un esempio di “pendio scivoloso” dove ogni legge sull’eutanasia e suicidio inevitabilmente si incammina, perché i paletti di sicurezza che vengono posti inizialmente vengono poi regolarmente ignorati o abbattuti. Citando Theo Boer, docente di Etica all’Università teologica di Kampen in Olanda: “Una volta aperta la porta all’eutanasia, non c’è modo di evitare il piano inclinato e di impedire che l’eutanasia, da eccezionale, diventi la normalità». [1]
- Negli ultimi 20 anni circa il 7% delle persone ha impiegato più di 6 ore per morire. Questa è la triste conferma di quanto affermato dal Collegio degli Psichiatri irlandesi: “Non solo l’eutanasia non è necessaria per una morte dignitosa, ma le tecniche utilizzate per realizzarla possono tradursi in una sofferenza considerevole e prolungata”. [2]
- Nel 49,6% delle morti non c’era nessuno accanto ai pazienti; quindi, è difficile sapere qualcosa riguardo agli ultimi istanti di questi pazienti. Anche questo è un segnale drammatico dell’individualismo che sempre più dilaga nella società. Riecheggiano le parole della Samaritanus Bonus come monito per chi si trova ad accompagnare un malato:
“Coloro che stanno attorno al malato non sono soltanto testimoni, ma sono segno vivente di quegli affetti, di quei legami, di quell’intima disponibilità all’amore, che permettono al sofferente di trovare su di sé uno sguardo umano capace di ridare senso al tempo della malattia. Perché, nell’esperienza del sentirsi amati, tutta la vita trova la sua giustificazione. Il Cristo è stato sempre sorretto, nel percorso della sua passione, dalla confidente fiducia nell’amore del Padre, che si faceva evidente, nelle ore della Croce, anche attraverso l’amore della Madre. Perché l’Amore di Dio si palesa sempre, nella storia degli uomini, grazie all’amore di chi non ci abbandona, di chi sta, malgrado tutto, al nostro fianco. […] ed è importante, in un’epoca storica in cui si esalta l’autonomia e si celebrano i fasti dell’individuo, ricordare che se è vero che ognuno vive la propria sofferenza, il proprio dolore e la propria morte, questi vissuti sono sempre carichi dello sguardo e della presenza di altri.” [3]
- Sebbene sia risaputo che la depressione sia spesso associata con la richiesta di morire, solo 2 pazienti sono stati indirizzati agli psichiatri nel 2021, lo 0,8%. Un calo drastico, visto che dal 1998 al 2019 la media era del 4%. I pazienti che fanno richiesta per morire stanno diventando meno depressi? O i dottori trattano con superficialità questi casi?
È evidente la necessità di fare tutto il necessario per arginare questa deriva di morte, prima che sia troppo tardi.
Articolo originale pubblicato su BioEdge
Traduzione e adattamento a cura di Marco Pirlo
Fonti
[1] Leone Grotti, Eutanasia in Belgio, nuovo record di morti (sempre più giovani), pubblicato su Tempi il 4 aprile 2022 (reperibile al link https://www.tempi.it/eutanasia-in-belgio-nuovo-record-di-morti-sempre-piu-giovani/ )
[2] Collection of Psychiatrists of Ireland, Physician assisted suicide and euthanasia – Position paper, p. 3 (reperibile al link https://tinyurl.com/epj49czs)
[3] Lettera “Samaritanus bonus” della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, p. 5 (reperibile al link https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2020/09/22/0476/01077.html)