Quando si nega Dio la vita umana perde il suo scopo

Nel libro della Sapienza si legge il seguente passo, che ci sembra significativo:
Han detto tra sé sragionando:
«La nostra vita è breve e triste;
non c’è rimedio, quando l’uomo muore,
e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi.
Siamo nati per caso
e dopo saremo come se non fossimo stati.
È un fumo il soffio delle nostre narici,
il pensiero è una scintilla
nel palpito del nostro cuore.
Una volta spentasi questa, il corpo diventerà cenere
e lo spirito si dissiperà come aria leggera.
Il nostro nome sarà dimenticato con il tempo
e nessuno si ricorderà delle nostre opere.
La nostra vita passerà come le tracce di una nube,
si disperderà come nebbia
scacciata dai raggi del sole
e disciolta dal calore.
La nostra esistenza è il passare di un’ombra
e non c’è ritorno alla nostra morte,
poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro.” [1]
Questo brano descrive mirabilmente la mentalità predominante nell’epoca attuale: una mentalità nichilista, che ha cancellato ogni trascendenza, dove la vita non ha nessuno scopo e, quindi, nessun significato. Questa mentalità ha inquinato molti ambiti, e permea le politiche che vengono portate avanti in buona parte del mondo per quanto riguarda aborto, eutanasia, suicidio assistito e tutte le pratiche contro la vita umana innocente: una mentalità che sminuisce quest’ultima, negandone il valore, non può difenderla.
Questa mentalità è opposta alla visione cristiana, la quale invece dà pieno significato all’esistenza di ogni essere umano. Sempre dal libro della Sapienza:
“Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità;
lo fece a immagine della propria natura.” [2]
La dignità dell’essere umano non deriva soltanto dal fatto che è un essere umano, ma anche dal fatto che è creato a immagine di Dio! E questo è evidente già dalla Genesi, quando, dopo aver creato il mondo e gli animali, “Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra”. [3] Fin dal principio viene sottolineata la fecondità dell’essere umano, la sua chiamata a cooperare egli stesso con l’opera della Creazione.
Ogni essere umano viene al mondo per un motivo ben preciso, ha una missione, che solo Dio conosce pienamente, e nessuno può negare la vita a un innocente, per nessun motivo e in nessuna circostanza. È fondamentale rendersi conto del disegno d’amore che c’è su ogni persona, della meraviglia che ogni vita suscita, della bellezza di ogni esistenza, come viene meravigliosamente espresso nel Salmo 139:
“Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio;
se li conto sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora.” [4]
Riscoprire il significato profondo dell’esistenza è il primo passo per difendere la vita umana. Recuperare, per dirla con Chesterton, il “senso del miracolo”:
“C’è un senso di miracolo nell’umanità che dovrebbe sembrarci più evidente di qualsiasi meraviglia del potere, dell’intelletto, dell’arte o della civiltà. Il semplice essere umano a due gambe, come tale, dovrebbe essere percepito come qualcosa di molto più commovente di qualsiasi musica e di più sorprendente di ogni altra creatura” [5]
Marco Pirlo
Fonti
[1] Libro della Sapienza, cap. 2, versetti 1 – 5
[2] Libro della Sapienza, cap. 2, versetti 23
[3] Libro della Genesi, cap. 1, versetti 26 – 28
[4] Salmo 139, versetti 13 – 18
[5] G.K. Chesterton, Ortodossia, Ed. Lindau, p. 78