Suicidio assistito in Italia: si può essere felici anche su un letto d’ospedale?

È dicembre del 2021, ed è ormai più di una settimana che si parla dell’approvazione del primo suicidio assistito in Italia da parte del Comitato Etico della ASL Asur Marche. Protagonista del caso è Mario (nome di fantasia che gli è stato dato), paziente tetraplegico da dieci anni, che a suo dire è “una persona al limite della sopportazione” e che quindi, proprio per questo motivo, ha deciso ormai da anni di porre fine alla propria vita.
Di fronte a questa situazione, il Comitato Etico ha stabilito l’effettiva sussistenza di tutti i quattro requisiti stabiliti dalla Corte costituzionale per richiedere l’assistenza al suicidio (sentenza 242/2019). Viene dunque da interrogarsi su questi requisiti, sulla preparazione di chi ha il potere di accertarli, su cosa permetta di ritenerli sussistenti e su che controlli ci siano rispetto a decisioni come queste che riguardano un bene di importanza capitale come la vita di un individuo.
Chi sostiene la bontà di tale prassi risponde a tutte queste domande semplicemente facendo riferimento alla presunta libertà di autodeterminarsi. Tutto ciò potrebbe apparire scontato agli occhi delle persone del nostro tempo, ma sotto uno sguardo attento presenta un certo numero di incongruenze che meritano di essere approfondite.
Anche sorvolando sul fatto che, come si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al numero 2280 (ed. 2018),
«Siamo amministratori, non proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo»
esistono ulteriori questioni di carattere razionale da tenere in considerazione, specie quando si parla di temi così delicati. Va innanzitutto tenuto presente che una decisione di questa portata non è priva di risvolti sociali. La perdita di una persona non è mai un fatto privato, ma ha ripercussioni ad ampio raggio, nei confronti di tutti coloro che avevano a che fare con la sua vita. Mario stesso sembra riconoscere questa dimensione: in una recente intervista ha infatti dichiarato
«Chi mi sta vicino comincia a rendersi conto… per loro cresce il dispiacere nel realizzare quello che farò, cioè schiacciare quel bottone e accedere al farmaco».
Un dispiacere che, meglio definibile come dolore, è confermato anche dalle parole della madre di Mario:
«sono fiera e orgogliosa per quello che mio figlio ha saputo fare, ma adesso che è arrivato questo momento e il pensiero mi fa soffrire perché so che lo perderò».
Di fronte a tali affermazioni risulta, pertanto, difficile riferirsi alla sola autodeterminazione della persona, perché, anche solo a questo primo livello di prossimità, si capisce che la portata dell’atto suicidario non coinvolgerà solo Mario. L’esempio di cui trattiamo riporta le parole – per ovvi motivi particolarmente intense – di una persona molto vicina a chi si trova nella sofferenza, ma è pacifico affermare che, a vari gradi, ogni vita e ogni morte sulla terra influisca sulla storia e sulle vite di un gran numero di altre persone non sempre determinabili esattamente ex ante.
In secondo luogo, occorrerebbe chiedersi se, a fronte di una sofferenza fisica e/o psichica – per dirlo ancora con le parole di Mario stesso – “intollerabile”, una persona sia ancora sempre in possesso della lucidità necessaria per valutare con la dovuta ragionevolezza quale sia la cosa migliore da fare per sé stessa. Non è forse universalmente accettato che persino chi commetta un reato, trovandosi in una situazione di particolare fragilità emotiva o psichica, possa disporre di attenuanti per “incapacità di intendere e di volere”? Perché invece in questo caso, in presenza di fragilità anche maggiori, non si prende minimamente in considerazione l’idea che il diretto interessato si stia “sbagliando” o che non disponga degli strumenti necessari per dare il giusto valore alla propria vita? È davvero sufficiente che un Comitato stabilisca che “stia dicendo il vero” per concludere che quella è la cosa migliore per lui?
Tale Comitato viene definito “etico”, ma cosa c’è qui di “etico”? Ci si dovrebbe chiedere come possa l’etica basarsi sull’emotività e sulle sensazioni personali, quando, secondo la definizione stessa data dalla Treccani, dovrebbe, invece rivolgersi
«al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane».
Si tratta di una scienza, dunque, rivolta alla ricerca di una verità oggettiva (quella del “vero bene”, da definizione), non di un riconoscimento dei presunti “beni soggettivi” percepiti dai singoli.
In ultimo, è utile soffermarsi ancora una volta sulle parole di Mario, che nel corso della già citata intervista, riconosce a più riprese elementi di Bellezza nella propria, seppur difficile, vita. In effetti non solo risponde così a chi si interessa alle sue condizioni:
«Come sto? Vado a giorni alterni. Ci sono giorni con più dolori e altri in cui soffro meno».
Ma si rende anche conto di poter addirittura portare avanti le sue battaglie, di poter essere significativo per qualcuno con quella che chiama la sua
«“rivoluzione”, che sono riuscito a fare stando fermo».
Al di là del giudizio morale sulla rivoluzione in questione, questi successi lo hanno portato addirittura ad ammettere:
«questo mi fa sentire contento, strafelice».
Si può concludere che non solo in una persona immersa nella sofferenza, ma addirittura in una che ha già deciso che la propria vita non è più degna di essere vissuta possa esservi una gioia anche molto intensa. Sembrerebbe confermarlo anche la madre, che si riferisce al figlio come «uno spilungone nel letto, con una voce squillante e allegra che riempie la stanza».
D’altra parte ci sono persone in una situazione molto simile a quella di Mario che hanno trovato la forza di accettare la loro terribile sofferenza trovando al tempo stesso spiragli per vivere in pienezza e godersi quella Bellezza che Mario sembra intuire.
«LOTTO FINO ALLA FINE. Combatto per la vita, per chi amo, per i miei obiettivi… e se vi dicessi che il progetto culinario per cui sto lottando per riuscire a realizzarlo sia qualcosa di buono da mangiare per voi? […] VIVA LA VITA! (P. Palumbo, chef malato di SLA)».
Ma se questa felicità è possibile, non sarebbe forse meglio stare al fianco di chi soffre così che possa conoscerla, raggiungerla e condividerla piuttosto che accogliere la rassegnazione di coloro che ritengono che nella sofferenza la vita cessi di essere tale?
Costanza Evelina Tavanti
Lorenzo Vivaldi
Bibliografia
–Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2018
–Etica, in Enciclopedia Treccani online
–Pagina facebook di Paolo Palumbo, post del 25 novembre 2021
–Suicidio assistito, Mario: «Ho fatto una rivoluzione stando fermo in un letto». La mamma: «Sono fiera di lui», Corriere della sera, 24 novembre 2021 –Via libera del Comitato etico al primo suicidio assistito in Italia. Restano i dubbi su farmaco e modalità da usare: deciderà il tribunale, la Repubblica, 24 novembre 2021