Le innegabili conseguenze psicologiche dell’aborto.

L’aborto è un trauma. Un trauma non solo per la madre, ma per tutte le persone che sono coinvolte nell’evento (il padre, gli altri figli, i nonni, il personale sanitario ecc..).
L’aborto nega due realtà fondamentali dell’essere umano:
- l’essere refero, ossia che l’essere umano ha una dignità propria solo per il fatto che esiste[1];
- l’essere relazionale, naturalmente portato a intessere relazioni con gli altri.
Perché l’aborto nega entrambe queste realtà? Perché considera il bambino non degno di vivere, non lo riconosce come essere umano, lo reifica riducendolo a oggetto. E nega che le conseguenze dell’aborto coinvolgano non solo la madre ma anche le persone in relazione con lei. E queste conseguenze possono esprimersi in diversi modi: a livello psicologico, a livello emotivo, a livello fisico, a livello comportamentale. Tutti i disturbi derivanti dal trauma dell’aborto rientrano nella seguente definizione:
“Esposizione o la diretta partecipazione a una morte intenzionalmente provocata e percepita come traumatica, la rivisitazione incontrollata e negativa dell’evento di morte (es. ricordi improvvisi, incubi, dolore intenso e reazioni nel giorno dell’anniversario), tentativi vani di evitare/negare i ricordi, senso di colpa legato alla propria sopravvivenza”[2]
Questi disturbi derivanti dall’aborto possono essere suddivisi in due categorie:
- psicosi post-aborto
- stress post-aborto
Psicosi post-aborto
Disturbo di natura prevalentemente psichiatrica, che emerge immediatamente dopo l’aborto in maniera eclatante e può durare anche più di sei mesi. Le donne che sviluppano questa psicosi generalmente devono essere ricoverate in psichiatria a seguito di tentati suicidi o suicidi falliti, oppure vanno a rubare i bimbi degli altri, o ancora si presentano davanti alle scuole aspettando invano che il loro bimbo esca
Stress post-aborto
Disturbo paragonabile al Disturbo Post-Traumatico da Stress (per avere un’idea della gravità del disturbo, fu diagnosticato per la prima volta ai reduci del Vietnam). Insorge tra i tre e i sei mesi dopo l’aborto e si mantiene fino ad elaborazione o si aggrava all’aumentare di altre esperienze traumatiche. La sintomatologia include: ansia, depressione, insonnia, disturbi dell’alimentazione, palpitazioni. I disturbi possono emergere subito dopo l’aborto ma anche dopo parecchi decenni, in seguito a un evento che scatena una reazione nel soggetto (es. la nascita di un nipotino/di un altro figlio, la morte del partner).
Questi disturbi si riscontrano principalmente nei casi di aborto volontario, in quanto nel caso di aborti spontanei generalmente l’elaborazione è più simile a quella di un lutto, mentre nel caso di aborto volontario è proprio la consapevolezza di aver contribuito deliberatamente alla morte del figlio che genera e alimenta questi disturbi. Disturbi che coinvolgono anche i mariti e i figli, nonché gli operatori sanitari.
Nel caso dei mariti l’aborto può farli sentire sminuiti nel loro ruolo di genitore, perdono fiducia. La dinamica dell’aborto spesso comporta frizioni nella coppia, perché le conseguenze si trascinano per anni.
Nel caso dei figli ci sono diverse reazioni: possono sentirsi come un rimpiazzo del fratellino morto, possono perdere fiducia nei genitori o averne paura (pensando che anche loro potevano essere abortiti), sviluppano aggressività e disturbi del comportamento.
Gli operatori sanitari, nel momento in cui si rendono conto che eseguono operazioni di morte, contrarie per definizione alla medicina che deve agire per la vita, può portarli alla depressione, a vivere il loro mestiere in modo asettico, meccanico, per non farsi coinvolgere dall’orrore di cui sono complici.[3]
Qualsiasi tipo di aborto è traumatico. In particolare, l’aborto procurato tramite RU486 sembra essere particolarmente provante, in quanto la donna affronta da sola tutta la procedura. È utile riportare la testimonianza di Kelly Lester, che rende bene l’idea delle conseguenze dell’aborto:
“Il mio aborto chimico è stato di gran lunga il più traumatico, rispetto ai tre aborti chirurgici effettuati precedentemente. È stato il più doloroso perché mentre per gli aborti chirurgici ero sedata, qui invece ero perfettamente lucida e consapevole. Ho visto chiaramente i pezzi del feto, non solo quel giorno, ma continuo a rivederli ogni volta che vado in quel bagno e rivivo l’esperienza”.[4]
La signora Lester è un esempio di come si possa riuscire a superare il trauma dell’aborto, in quanto, dopo aver avuto quattro aborti e diversi problemi di salute, oggi è felicemente sposata e madre di sei figli.
Merita una riflessione anche il contesto culturale nel quale viviamo. Citando testualmente la dott.ssa Cinzia Baccaglini:
“Sempre più nella mia esperienza clinica dove c’è una mamma che uccide il proprio figlio c’è una nonna materna che ha fatto la stessa cosa con un figlio/a, quindi con una sorella o fratello della mamma. Forse una normalizzazione dei comportamenti culturali, forse la perdita del senso della preziosità della vita che si tramanda: se l’ha fatto mia madre perché non io?”[5]
L’esistenza di leggi che consentano, legittimino l’uccisione del nascituro, unite a un clima culturale che sottolinea quanto l’aborto sia un diritto innegabile delle donne, favorisce un cambio di mentalità nella popolazione, che si abitua, accetta questo genere di pratiche senza porsi il minimo dubbio in merito alla bontà delle azioni. Semplicemente vale il principio che “la legge lo consente, quindi è giusto, va bene farlo”. Il punto è che la legge non è sempre buona per definizione, esistono leggi oggettivamente malvagie le cui conseguenze non possono essere buone. E devono essere eliminate.
Marco Pirlo
[1] Cfr. Cinzia Baccaglini, “Il non riconoscimento del volto umano del concepito: quali conseguenze?”, p. 1.
[2] Cfr. Anne C. Speckhard, Vincent M. Rue, “Postabortion Syndrome:an emerging Public Health Concern”, Journal of Social Issue,1992,48(3):96-119.
[3] Per quanto riguarda i disturbi causati da psicosi e stress post-aborto nei vari individui coinvolti, è spesso l’esperienza clinica diretta a rivelarli, mentre gli studi scientifici in merito sono ancora scarsi. Per approfondire si veda il già citato articolo di Cinzia Baccaglini. Per lo specifico caso dei bambini, fratelli del concepito abortito, riportiamo una testimonianza della Dott.ssa Baccaglini, tratta da un’intervista rilasciata all’APCC Toscana:
“Il disturbo post traumatico da stress ha caratteristiche specifiche per i bambini. Quello più eclatante che mi è successo riguarda L. (42 anni) e C. (38) che chiedono una consulenza per D. (6 anni) poiché da qualche mese ha comportamenti strani. Non oltrepassa la linea di mezzo della sua stanza. Se viene invitato caldamente a farlo va in ansia, piange, si agita e urla che non lo può fare. Non ha altri comportamenti simili in altri ambienti. I genitori raccontano del loro trasloco, di non avere particolari problemi, di andare d’accordo. Nessun lutto recente di parenti né incidenti, né altro.
Anamnesi familiare negativa a patologie psichiatriche. A quel punto chiedo di vedere il bimbo. Diego entra nello studio tranquillo. Bimbo sveglio, intelligente, simpatico. La madre racconta davanti a lui quello che la preoccupa. A un certo punto la madre dice che hanno traslocato perché non c’era abbastanza spazio nella casa vecchia. A quel punto D. scoppia a piangere e urla: ‘No, non è vero. C’era spazio nella casa vecchia e anche in quella nuova, io ne uso solo metà. Poteva esserci anche il mio fratellino. Non lo dovevi lasciare in ospedale’.
A quel punto la mamma scoppia a piangere e racconta dell’aborto. Il marito era andato a prenderla all’uscita dell’ospedale con D. e in macchina lei aveva detto piangendo al marito che così, con quello che aveva fatto D. avrebbe avuto più spazio per giocare e più cose. Il bambino riferisce che lo diceva mentre si toccava la pancia. Che lui glielo avrebbe impedito se non fosse stato a scuola. Chissà quante diagnosi di iperattività, di disturbi dell’attenzione con iperattività sottendono eventi di questo tipo.”
[4] Lauretta Brown, “Pro-lifers emphasize the unique risks and trauma that accompany self-managed abortion”, pubblicato sul “National Catholic Register” il 21/03/2022.
[5] Cinzia Baccaglini, “Il non riconoscimento del volto umano del concepito: quali conseguenze?”, p. 5.