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Aborto selettivo: un dramma femminile ignorato.

Nell’ultimo decennio è aumentata esponenzialmente la protesta di piazza e la risonanza mediatica per la lotta alle discriminazioni e alla violenza di genere ma c’è una forma di violenza meschina e discriminatoria che non trova spazio né mediatico né in piazza: l’aborto selettivo.

Con il termine “aborto selettivo” si fa riferimento alla decisione di uccidere direttamente il concepito quando non è del sesso o nella condizione desiderata.

Oggi vogliamo focalizzarci sulla questione del sesso. I dati evidenziano come vengano colpite in netta prevalenza le bambine ancora nel grembo materno come risultato di una preferenza verso i figli maschi. Secondo il Rapporto sullo Stato della Popolazione Mondiale 2020 dell’ONU mancano all’appello circa 140 milioni di donne e, a partire dagli anni ’90, in alcune aree sono state registrate fino al 25% di nascite maschili in più rispetto a quelle femminili.

Sempre secondo il Rapporto ONU

la preferenza del figlio maschio ha anche portato a gravi squilibri tra il numero di uomini e donne, distorcendo l’equilibrio del rapporto tra i sessi delle popolazioni dei paesi, al punto che un gran numero di uomini potrebbe non essere in grado di trovare partner e avere figli”.

In Cina, ad esempio, si calcola che entro il 2030 il 25% dei trentenni non troverà mai una donna da sposare; ed è proprio nel continente asiatico che si nota lo squilibrio più alto nel rapporto tra i sessi indicatore della maggior diffusione dell’aborto selettivo.

In Asia si stima che la ripartizione naturale dei sessi sia di 975 femmine ogni 1000 maschi. In Vietnam il rapporto tra nascite maschili e femminili nel 2019 è stato 120 maschi ogni 100 femmine. In Cina le donne mancanti sono tra i 30 e i 40 milioni. In India secondo l’Alliance Defending Freedom sono 63 milioni le donne andate ‘perse’ negli ultimi dieci anni ed uno studio della King Abdullah University of Science and Technology dell’Arabia Saudita stima che tra il 2017 e il 2030 non vedranno la luce circa 6,8 milioni di bambine. Il presidente della Federazione indiana Modi ha promosso campagne contro l’aborto selettivo (“Salva la figlia. Istruisci la figlia”), ma non sembra produrre effetti, a causa del radicamento della mentalità eugenetica sottostante l’aborto selettivo.

Non dobbiamo però pensare che questo fenomeno interessi solo l’Oriente ma anche l’Occidente. Stando, infatti, a quanto affermato dall’INED (Institut national d’etudes démographiques), che a partire dal 1945 si occupa di indagare gli aspetti demografici di diversi Paesi nel mondo, in alcuni Stati dell’Europa orientale il rapporto tra i due sessi è notevolmente cambiato. In Azerbaigian si registrano 117 nati maschi ogni 100 femmine, condizione che porta il Paese ad essere il secondo al mondo, dopo la Cina, in cui sia presente un così forte squilibrio di genere alla nascita. In Albania, Kosovo, Montenegro e Macedonia il rapporto è di 111 nati maschi ogni 100 nascite femminili. Ciò che stupisce è che non si tratta di una realtà poi così lontana dalla nostra. Succede infatti anche in Norvegia e Inghilterra tra le persone di origine indiana, mentre in Grecia e Italia, coinvolge soprattutto gli immigrati delle comunità cinesi e albanesi.

Secondo la Banca Mondiale gli uomini nel mondo sono 1,7% in più superando le donne di 64 milioni. Secondo il Rapporto dell’ONU “gli effetti degli squilibri nel rapporto tra i sessi possono esacerbare i problemi di violenza di genere”.

L’allarme lanciato dal rapporto dell’ONU non corrisponde però ad una vera e propria presa di coscienza del problema. Se da una parte infatti afferma la necessità di contrastare la discriminazione in base al sesso del nascituro dall’altra sostiene che “i divieti sulla selezione del sesso sono spesso inefficaci e violano anche i diritti riproduttivi, incluso l’accesso all’aborto sicuro nei paesi in cui l’aborto è legale”. L’aborto viene visto dunque come uno strumento di salute riproduttiva che non deve avere alcuna limitazione legislativa. Pertanto, sempre stando alle Nazioni Unite, bisogna contrastare culturalmente la preferenza di genere ma non la pratica dell’aborto. Una lettura che ignora completamente il fatto che sono le stesse normative che concorrono a determinare la cultura di un popolo. L’aborto selettivo è un fenomeno che non entra nel dibattito pubblico internazionale e non trova risonanza sui media e nelle piazze perché è una pratica che crea un paradosso nella società progressista: essa da un lato vuole difendere le bambine dalle discriminazioni di genere e dall’altra promuove in ogni modo la rimozione di ogni legge che ostacola l’aborto.

Il silenzio è assordante. Non possiamo permetterci di tacere di fronte questa barbarie e dobbiamo denunciare chiaramente la realtà dell’aborto. L’aborto è omicidio. L’aborto è la strage degli innocenti. Utilizzando un linguaggio tanto di moda oggi, l’aborto è persino, come possiamo vedere, l’ennesima forma di discriminazione nei confronti delle donne.

I tanto decantati “diritti delle donne” non hanno alcun senso se non si assicura il loro diritto a non essere soppresse direttamente nel grembo materno.

Noi pensiamo fermamente che ogni essere umano vada difeso, indipendentemente dal sesso, dalla condizione o dalla fase di sviluppo: tra questi, vogliamo anche difendere la vita delle donne nel grembo materno e quelle che vivono una gravidanza, magari difficile, apparentemente sconveniente – in questo caso per ragioni sociali – e prospettare un modo nuovo di affrontare le questioni che pone.

Erika Fancelli & Francesco Chilla

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