La tremenda contraddizione di chi difende il suicidio come “diritto”

È di qualche giorno fa la notizia che Matteo Cecconi, un 18enne di Bassano del Grappa si è suicidato ingerendo un farmaco accompagnato a nitrito di sodio. Lo scalpore tra i giornalisti che hanno riportato la notizia sta nel fatto che tale gesto è stato seguito “in diretta” da un gruppo di ragazzi iscritti ad un forum pro-suicidio (successivamente oscurato) i quali non hanno fatto il benché minimo tentativo di dissuadere il giovane dal suo gesto.
Di 17 mila utenti di quella community non uno che, nel leggere le intenzioni che Matteo aveva reso manifeste con un post, si sia preoccupato. Agghiacciante è il cinismo delle risposte, riportate da Fanpage e Corriere della Sera: “Fai buon viaggio”, “Vai e troverai la pace”, “Stai facendo la cosa giusta”, “Non temere, vedrai che andrà tutto bene”. Venti minuti dopo il primo post, Matteo descrive il “sapore orribile” di ciò che ha assunto e gli utenti “spettatori” si limitano ad attendere di non vedere apparire più commenti di Matteo sullo schermo … segno della fine del ragazzo. Cessati i segni di vita, qualcuno scrive: “Se te ne sei andato, spero che tu possa trovare la pace”.
Sin qui, i fatti narrati. Il mio cuore è straziato nel ripercorrere tale storia: la vita di un ragazzo nel fiore degli anni che lentamente si spegne senza che nessuno agisca per impedirlo. Tutto questo ha suscitato in me una riflessione che voglio condividere con chi legge.
Viviamo in una società dove la cultura di morte sembra regnare incontrastata. Una cultura che distrugge bambini nel grembo materno con la stessa facilità con cui spegne le vite di ragazzi come Matteo. Una cultura che non offre speranze, non fa intravedere alcuna luce, tanto da condurre le persone alla disperazione e a togliersi quella vita totalmente svuotata di senso. Il nostro mondo sembra divenuto insensibile a questo genere di storie, che vanno moltiplicandosi in un’escalation da far gelare il sangue.
Eppure, di fronte a questo tragico atto di un ragazzo disperato, sembra svegliarsi nell’opinione pubblica o perlomeno giornalistica, un sentimento di disgusto. Un articolo del Corriere della Sera titola “Diavoli di prima classe”, riferendosi agli utenti del Forum che non solo non intervenivano, ma rafforzavano la scelta del ragazzo. Un po’ come chi, vedendo una persona sul ciglio di un ponte, in procinto di buttarsi, invece di dissuaderla le desse una spinta per aiutarla a sfracellarsi a terra.
Non è forse la stessa cosa che fanno coloro i quali sostengono il fantomatico e immaginario “diritto al suicidio”? Tra Matteo Cecconi e Vincent Lambert, si potrebbe dire, esiste una differenza di intenzione: l’uno aveva deciso da tempo di porre fine alla propria vita (sull’effettiva lucidità della “decisione” ebbi già modo di dire qualcosa in un mio video, anche se vi sarebbe molto altro da dire), l’altro invece alla notizia che i medici lo avrebbero privato di idratazione e nutrizione era scoppiato in lacrime. Ma quale differenza sussiste tra Matteo e Dj Fabo? Da un punto di vista fisico il primo era perfettamente sano, il secondo no. Ma l’intenzione di uccidersi era la medesima. Allora perché nel caso di Matteo ci si è indignati di fronte ai sostenitori, definendoli addirittura “diavoli”, mentre nel caso di Dj Fabo si è esaltato il comportamento di Marco Cappato, fino al punto di dichiarare costituzionalmente illegittimo l’articolo del Codice Penale che punisce l’aiuto al suicidio?
La verità è che la cultura della morte, essendo menzognera e profondamente contro l’uomo (nonostante si mascheri da dispensatrice di “diritti umani”), è anche fortemente contraddittoria. Non vi può infatti essere coerenza logica laddove si nega la realtà delle cose, la verità sull’uomo e sulla sua natura razionale, che rende la sua vita intrinsecamente degna e meritevole di massima protezione, al di là di qualsiasi circostanza accidentale. Questo è il motivo per cui i sostenitori del suicidio, così come dell’eutanasia, vivranno sempre in una tragica dicotomia: da una parte emerge la loro coscienza, che li porta a scandalizzarsi di fronte ad un’evidente violazione di ciò che il loro raziocinio riconosce chiaramente come un bene (la difesa della vita, che passa anche attraverso un semplice “fermati, ti prego!”) e dall’altra l’ideologica ostentazione di assicurare un’autonomia assoluta dell’uomo, un affrancamento dai propri limiti ed una emancipazione da quella legge naturale e divina che però è proprio il fondamento della loro natura.
Purtroppo per loro, la natura umana, per sua intrinseca caratteristica, rimarrà sempre uguale a se stessa, indipendentemente dall’epoca e dalle circostanze. Seppur soffocata dall’ideologia, riconoscerà sempre che non c’è niente di normale o ragionevole nello spingere qualcuno giù da un ponte.
Fabio Fuiano