Trapianto di organi: a volte la morte cerebrale è provocata!
Riportiamo di seguito la seconda parte dell’intervista a Doyen Nguyen, in cui spiega più specificamente cos’è la CCCD e il fondamento antropologico su cui si fonda.
Ci sono protocolli che prevedono trapianti a cuore fermo?
Un nome più corretto per la donazione a cuore fermo è “morte cardiaco-circolatoria controllata” (Controlled Cardiac Circulatory Death – CCCD). Il termine CCCD indica la connessione intrinseca e inscindibile tra cuore e circolazione sanguigna, infatti, il sistema cardiocircolatorio funziona come un’unità perché la funzione del cuore richiede che il sangue circoli, ma allo stesso tempo, senza la funzione di pompaggio del cuore, non potrebbe esserci circolazione sanguigna. Il termine CCCD indica anche che in questo protocollo, il momento della morte viene determinato con precisione dietro condizione controllata [15].
Ora, come tutti sappiamo per buon senso comune, la morte (intesa nel senso di morte naturale), arriva non invitata, il che significa che non possiamo sapere quando ha luogo esattamente. Scientificamente parlando, l’esatto momento della morte non può essere determinato in quanto essa avviene istantaneamente (la morte è un evento istantaneo). Metafisicamente parlando, la morte è la separazione tra l’anima (che è immateriale) e il corpo. Come tale, è un evento di cui nessuna tecnica umana o dispositivo può prevedere o determinare l’esatto momento. Ironia della sorte, una caratteristica chiave del CCCD consiste proprio nello stabilire l’esatto momento della morte!
Poiché il paradigma CCCD coordina il tempo di rimozione del ventilatore con la prontezza del team di prelievo degli organi dal donatore CCCD, tutti i differenti protocolli CCCD, di base, seguono il modello di seguito descritto [16]:
- Il potenziale donatore è un paziente con un grave danno cerebrale, ma non ancora dichiarato cerebralmente morto, di cui ci si aspetta la morte (solitamente entro 30-60 minuti) una volta che il supporto vitale venga rimosso;
- La CCCD richiede due consensi informati distinti: per prima cosa il consenso al “divieto di rianimazione” che consente la rimozione del supporto vitale, seguito dal consenso per la donazione degli organi;
- Il paziente viene portato nella sala operatoria, dove viene immediatamente svezzato dal supporto vitale. Questo richiede naturalmente la somministrazione di narcotici e sedativi per alleviare o prevenire il fastidio del paziente;
- Come parte della preparazione pre-morte per l’operazione di prelievo, il paziente viene eparinizzato, si inserisce una cannula femorale e la sua pelle viene preparata e coperta;
- Segue un breve periodo di osservazione (cosiddetto “death watch” o periodo “senza contatto”) e dopo l’insorgenza dell’arresto cardio-respiratorio, il paziente viene dichiarato morto. Nel protocollo di Pittsburgh la morte viene dichiarata dopo due minuti in cui (a) non si registra pressione di polso dal catetere arterioso, oppure l’elettrocardiogramma è piatto, (b) non si sentono suoni cardiaci, (c) è insorta l’apnea e (d) non c’è reazione agli stimoli. La durata del “death watch” varia da 2 a 5 minuti a seconda del protocollo. Nel protocollo europeo di Maastrich, il “death watch” dura 10 minuti: “in questi 10 minuti di assenza di circolazione, il cervello sarà morto”. Il risultato sarà “una situazione equivalente a quella di morte cerebrale” [17]. A causa della lunga durata del “death watch”, solo i reni possono essere espiantati perché sono più resistenti all’ischemia rispetto ad altri organi vitali (come ad esempio il cuore, i polmoni, il fegato e il pancreas);
- Si procede al prelievo degli organi immediatamente dopo la dichiarazione di morte;
- Alcuni protocolli CCCD includono una procedura post-mortem (protocollo Michigan): si pratica l’ossigenazione veno-arteriosa extracorporea di membrana (ECMO) dopo l’arresto cardiaco per ristabilire il flusso di sangue caldo e ossigenato nell’intervallo che intercorre tra la morte e il prelievo degli organi.
Si noti che nel 25% dei casi, il potenziale donatore CCCD è ancora vivo dopo un’ora dalla rimozione del supporto vitale. La procedura chirurgica di prelievo viene quindi annullata perché l’ischemia durante il processo di morte è stata troppo prolungata, rendendo quindi gli organi inutilizzabili.
Una volta chiarito cos’è la morte cerebrale, qual è, in breve, l’idea antropologica e metafisica di fondo? Quali incoerenze principali riscontra?
Come già detto sopra, il paradigma CCCD è stato costruito in base al paradigma della MC, basandosi su una supposizione (falsa peraltro) che il periodo “senza contatto” di 2-5 minuti (o 10 minuti nel protocollo Maastricht) sia sufficiente a creare una situazione simile alla MC. Perciò si può dire che sia la CCCD che la MC sottendono alla stessa tesi filosofica, la quale afferma che il cervello sia l’organo di controllo supremo dell’integrazione del corpo (quindi l’integrazione dell’organismo) e senza il quale l’essere umano muore (cioè si disintegra). Tale tesi pone il cervello al di sopra del e contro il corpo in una maniera analoga al dualismo Cartesiano nel quale la mente viene separata dal corpo. L’assurdità di tale tesi può essere dimostrata in più di un modo: qui ne menzionerò solo tre.
Primo, partiamo dall’evidenza empirica: come è possibile che il cervello sia il principale integratore centrale del corpo quando, nell’embrione, la placca neurale (ovvero la più precoce evidenza della formazione del sistema nervoso) non appare fino alla fine della quarta settimana di gestazione? L’embrione è già un organismo integrato, vivente e in via di sviluppo ben prima della comparsa della placca neurale. Per di più, lo sviluppo del cervello avviene ben più tardi rispetto a quello del cuore o dei vasi sanguigni. Cattolici pro-life, ma pro-MC (ad esempio, M. Condic e M. Moschella) asseriscono semplicemente, senza alcuna spiegazione, che nello stadio post-natale il cervello sia l’organo principale. Come, quando e perché il cervello improvvisamente diviene l’organo principale nello stadio post-natale della vita?
Secondo, esaminiamo la tesi semplicemente sulla base della causalità efficiente. La filosofia classica ci parla di quattro cause: materiale, efficiente, formale e finale. La scienza moderna, con il suo “pensiero meccanicistico” è interessata solo alla causa materiale e a quella efficiente. Sulla base della sola causa efficiente, il cervello non può essere l’integratore principale dell’organismo umano per la seguente, semplice ragione: come fa lo stesso cervello a permanere in uno stato di integrazione? Non c’è un’entità materiale che possa essere la propria stessa causa di integrazione. Per cui deve esserci un’altra entità materiale che permetta l’integrazione del cervello e in questo caso tale entità assumerebbe il ruolo dell’integratore centrale; ma a sua volta anche quest’ultima non potrebbe provvedere alla propria integrazione. Otteniamo dunque un regresso infinito [18].
Il terzo modo riguarda il principio assiomatico che un intero organico (cioè un organismo vivente) viene ontologicamente prima delle sue parti ed è più grande della somma delle parti. Questo assioma è fondamentale sia nella metafisica classica che nella biofilosofia olistica contemporanea. Il corollario a questo assioma afferma che nessuna parte può spiegare se stessa, figuriamoci se può spiegare l’intero organico. Nel nostro contesto, l’intero organico è l’essere umano. Il cuore, il cervello, il fegato, i reni ecc. sono solo delle parti. Si è affermato che il cervello è l’organo più nobile perché è la materia per la funzione cognitiva. Ciononostante, per quanto nobile possa essere, il cervello è solo un organo al pari degli altri organi nel corpo. Come tale, non può spiegare se stesso, ossia non può spiegare la propria integrazione, figuriamoci l’integrazione dell’intero organismo umano.
Per cui, potreste domandare, qual è l’integratore principale dell’organismo umano? Nella biofilosofia contemporanea si dice “ciò dà integrazione al corpo”. Nella metafisica classica, ci si riferisce a “ciò che dà forma al corpo” oppure “ciò che rende il corpo quel che è”. Ma “quel che rende il corpo ciò che è” è anche quel che fornisce l’ “esse” (esistenza, essenza) all’organismo. Non è altro dunque che quel principio di vita che chiamiamo “anima”. In breve, è l’anima l’integratore del corpo.
Un messaggio che vorrebbe dare ai nostri lettori …
Primo, un messaggio pratico: l’unica donazione di organi valida è possibile da vivi, in questo caso si possono donare un rene o un lobo del fegato. Qui parliamo di donazione degli organi come nobile atto e dono di sé. Un dono, inteso nel suo senso più pieno, stabilisce una connessione tra la persona che offre e la persona che riceve. Motivo per cui, fare dono di sé necessariamente porta ad un legame tra il donatore e il ricevente. Perché insistiamo tanto con l’anonimato dei donatori? A chi dovrebbero essere grati i riceventi dunque? Quanto può essere duraturo il nostro senso di gratitudine se non conosciamo nemmeno la persona che ha fatto dono di sé nella donazione degli organi? L’anonimato porta alla de-umanizzazione dei donatori. In questo modo risulterebbe conveniente vedere un paziente in coma irreversibile come un mero sacco di organi trapiantabili invece di riconoscere che quella è una persona vivente (sebbene morente). Quindi ora che conoscete la terribile verità riguardo alla MC e alla CCCD, dovreste sapere cosa fare. Moralmente parlando, dovreste adoperarvi per non rientrare nella dizione “donatore di organi dopo la morte” precisamente perché nel contesto della donazione di organi, la parola “morte” non indica la vera morte, ma piuttosto la morte cerebrale o la CCCD, o qualche nuova definizione di morte.
Secondo, un messaggio spirituale: cosa succederebbe se vi ritrovaste ad essere un ricevente? Dovreste avere la forza spirituale e il coraggio morale di non accettare organi ottenuti per mezzo della MC, della CCCD o dell’eutanasia. Noterete infatti che la MC e la CCCD sono solo forme velate di eutanasia, progettate primariamente per lo scopo di ottenere organi.
Riferimenti:
[15] D. Nguyen, The New Definitions of Death for Organ Donation: A Multidisciplinary Analysis from the Perspective of Christian Ethics (Bern: Peter Lang, 2018), p.21-26, 115-135.
[16] D. Nguyen, The New Definitions of Death for Organ Donation: A Multidisciplinary Analysis from the Perspective of Christian Ethics (Bern: Peter Lang, 2018), p.21-22.
[17] G. Kootstra, “Ethical Questions in Non-Heart-Beating Donorship,” Transplantation Proceedings28, no. 6 (1996).
[18] D. Nguyen, “Why the Thomistic Defense of “Brain Death” is not Thomistic: an Analysis from the Perspectives of Classical Philosophy and Contemporary Biophilosophy,” The Thomist82 (2018).
Qui potete trovare la prima parte dell’articolo.
Here the interview in English.
Intervista di Fabio Fuiano
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