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Il figlio sospeso

Giovedì scorso in compagnia della mia dolce metà, presso un cinema capitolino d’essai, sono stato deliziato dalla visione del lungometraggio Il figlio sospeso, diretto dal regista siciliano Egidio Termine, presente in sala insieme all’attore protagonista Paolo Briguglia; la pellicola tratta con estrema delicatezza un tema scottante e attuale come l’utero in affitto senza prendere in modo diretto una posizione, ma cercando di focalizzare la narrazione sulla prospettiva di un figlio che vive questa tragica circostanza, lasciando che sia la realtà a parlare per suscitare nello spettatore un giudizio su di essa.

Sfruttando una sequenza cronologica non lineare, il regista tratteggia fini e graduali pennellate che portano Lauro, il protagonista, alla scoperta della sua vera storia, arrivando ad incontrare la sua vera madre, Margherita; con nitidezza e tenerezza emergono sia la forza del legame biologico nell’alterità tra il rapporto con il padre naturale e quello con la “madre”, sia la contrapposizione tra il desiderio di maternità ferito dall’infertilità e la lancinante percezione dell’imminente esproprio del frutto del proprio grembo.

Nessuna umana emozione viene censurata né condannata, il dramma viene sviscerato in tutte le sue sfaccettature facendo convivere sia l’evidenza della violenza che è, per una donna, essere privata del figlio che sta custodendo dentro di sé sia la possibilità che questa violenza non sia la parola ultima, bensì possa succedervi il perdono. Significativa è la restituzione da parte di Margherita del denaro oggetto della lugubre transazione, pur scegliendo di consegnare comunque il proprio figlio alla famiglia che la aveva aiutata economicamente per una ragione differente, liberandosi dalla dolorosa prospettiva di aver venduto il frutto del proprio grembo.

Ad ogni modo, la scelta di conferire al figlio il cuore della narrazione può essere a pieno titolo interpretata come una chiave di lettura dell’intera pellicola fornita non troppo implicitamente da Egidio Termine e fa eco al principio della tutela del supremo interesse del bambino, i cui diritti superano le volontà degli adulti; chiaramente tale principio può essere invocato e contestualmente disatteso, come nel caso di Charlie Gard, giustiziato “nel suo supremo interesse”, ma, se colto nell’accezione corretta, esso non può che essere la via con cui dare un giudizio sulla realtà quando essa interseca l’ambito della generazione: il soggetto più debole è il detentore preminente dei diritti e le volontà dei soggetti più forti e adulti non può e non deve prevaricare il suo bene, il quale non può essere né quello di essere ucciso né quello di essere sottratto alla sua madre biologica a causa di un contratto di compravendita di carne umana.

Daniele Laganà

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