La difesa della Vita in università
“L’amore dà sempre vita”. Si apre con queste parole di Papa Francesco il messaggio della Conferenza Episcopale Permanente scritto in occasione della 40ª Giornata Nazionale per la Vita, che si celebrerà domenica 4 febbraio sul tema: “Il Vangelo della vita, gioia per il mondo”.
Il Vangelo della vita – scrivono ancora i vescovi italiani – infatti “è dono di Dio e compito affidato all’uomo”. Un compito che hanno particolarmente a cuore anche agli Universitari per la Vita, un gruppo di giovani che fa della diffusione della ‘cultura della vita’ la mission del proprio apostolato nelle università italiane. Abbiamo perciò rivolto alcune domande a Chiara Chiessi, presidente degli ‘Universitari per la Vita’, sulla necessità di impegno costante a tutela e promozione del diritto alla vita del più piccolo dei nostri fratelli, quale è il concepito nel grembo della madre non ancora nato.
Buongiorno Chiara. Innanzitutto raccontaci chi sono gli Universitari per la Vita?
«Siamo un’associazione studentesca apartitica e aconfessionale, che s’impegna a diffondere la ‘cultura per la vita’ negli atenei italiani a partire da quelli della capitale, promuovendo campagne di sensibilizzazione, attività di formazione ed eventi e coinvolgendo studenti di diverse nazionalità anche attraverso degli aperitivi in università, allo scopo di tutelare e custodire il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale. In Italia ad un bambino ogni cinque minuti viene negato il diritto alla vita; da poco è entrata in vigore la legge sulle DAT che uccide i malati togliendo loro idratazione e nutrizione. Ci siamo resi conto che era necessario alzarsi in piedi per difendere la Vita, e farlo nel luogo da cui principalmente si deve partire per avere il cambiamento: l’università.”
Da dove nasce l’idea di costituire un’associazione dedita alla difesa della vita nascente?
«L’idea di creare un gruppo di giovani mobilitati nella difesa della vita è nata dalla partecipazione alla Marcia per la Vita 2016. Siamo partiti da un gruppo molto ristretto ed andando avanti, ci siamo resi conto della necessità di sensibilizzare specialmente le università, le scuole e le parrocchie su tali tematiche, creando una generazione di attivisti pro vita forte ed appassionata, così come sta accadendo negli Stati Uniti. La finalità principale del nostro impegno è quella di rendere l’aborto impensabile e di costruire una società fondata sul diritto alla vita».
C’è un incontro o un avvenimento che giudichi determinante nell’indurti a sposare la causa pro-life?
«Personalmente sono sempre stata molto sensibile a questa tematica. Tuttavia una volta ho ascoltato una conferenza in cui si spiegavano i metodi e gli strumenti utilizzati per l’aborto e ho avuto modo di vedere su Youtube “The silent scream”, un video tristemente celebre in cui il medico Bernard Nathanson mostra cosa succede durante un aborto. Questo è stato per me un vero e proprio shock. Da quel momento, ho deciso che mi sarei battuta per i diritti dei non nati e per dare voce ai senza voce».
‘Essere voce di chi non a voce’: è questo il cuore della vostra missione. In che modo cercate di farlo concretamente?
«Dal 2016 a oggi abbiamo organizzato alcuni aperitivi in Università per spiegare agli studenti la nostra realtà e le nostre iniziative. Facciamo volantinaggio e siamo presenti in maniera attiva nei campus degli atenei della capitale per rompere innanzitutto la cortina di silenzio e di indifferenza sul tema dell’aborto e dell’eutanasia. Contattiamo i docenti, parliamo con gli studenti e chiediamo aule per poter parlare pubblicamente di queste temi. Abbiamo organizzato un concerto ‘Voci per la Vita’ perché il nostro messaggio giungesse in maniera più diretta ai nostri coetanei anche mediante la forza della musica pop e la toccante testimonianza dell’attrice Beatrice Fazi. Abbiamo poi invitato e avuto il piacere di ascoltare lo scorso 18 maggio la testimonianza di Gianna Jessen, nota attivista pro-life americana sopravvissuta a un aborto salino al settimo mese. L’incontro, che avrebbe dovuto svolgersi nell’Università di Roma Tre e poi confinato nei luoghi della Cappellania universitaria, è stato tuttavia molto partecipato dai giovani studenti, nonostante le polemiche per la censura preventiva da parte dello stesso ateneo. Abbiamo aderito alla campagna 40 Days for Life (40 giorni per la Vita), iniziativa diffusa in tutto il mondo che prevede quaranta giorni di preghiera dal 1° marzo al 9 aprile all’esterno di un ospedale durante gli orari di aborto. In questo modo dal 2007 sono stati salvati più di 10mila bambini in tutto il mondo. Abbiamo lanciato numerose campagne social #inpiediperlavita, al fine sensibilizzazione l’opinione pubblica, soprattutto i più giovani, alla tutela del diritto alla vita. Lo abbiamo fatto per Charlie Gard all’indomani della sorprendente decisione dell’Alta Corte di Londra in favore della sua eutanasia e continuiamo a farlo allorquando scorgiamo una vita debole e indifesa minacciata da leggi o sentenze ingiuste».
Difendere la vita dal concepimento alla morte naturale nell’imperante ‘cultura della morte’ e nell’attuale dittatura del ‘politicamente corretto’ è una sfida decisiva e particolarmente impegnativa. Quali i rischi e quali le opportunità per il vostro operato?
«Sicuramente una delle difficoltà che incontriamo maggiormente è quella di controbattere col ragionamento chi non condivide la nostra posizione. Per questo motivo ci stiamo concentrando molto anche sulla formazione, sulla base dei nostri percorsi di studi, per dare risposte esaustive e puntuali soprattutto a chi non la pensa come noi. Testimoniare la verità in un ambiente come l’università non è sempre facile. Ma noi andiamo avanti con fede, perseveranza e coraggio.
Essere pro life è infatti una chiamata al coraggio. È un dovere di tutti difendere i non nati.
Le opportunità sono tante: si scopre che ci sono tanti studenti che la pensano come noi e che vogliono attivarsi concretamente per la Vita, alcuni che ci aiutano per ottenere le autorizzazioni per gli aperitivi in università ad esempio.
Oppure succedono cose inaspettate: una ragazza atea ma pro life convinta, è diventata una delle più attive nel nostro gruppo.
Siete presenti soltanto negli atenei romani o state lavorando perché nascano gruppi come il vostro anche in altre università italiane?
«Il gruppo è nato a Roma ed il nucleo principale opera a Roma. Però ci sono studenti in altre città d’Italia che ci hanno già contattato per chiederci di poter aprire dei gruppi pro vita anche nei loro atenei. Da poco tempo infatti sono sorti a Padova gli Amici degli Universitari per la Vita. Queste notizie ci riempiono il cuore di gioia e ci inducono a perseverare nel nostro impegno con sempre maggiore tenacia e dedizione. Sono molti gli studenti di varie città d’Italia che ci contattano perché grazie alla nostra testimonianza, gli abbiamo ridato la speranza di lottare per un mondo migliore”
Quali strategie comunicative adottate per veicolare con successo i vostri messaggi?
«In verità utilizziamo molto i principali social network (Facebook, Instagram,Twitter e Youtube), postando quasi quotidianamente video, immagini e link ad articoli interessanti, per ridestare l’attenzione su questi temi e smuovere le coscienza rispetto al dramma dell’aborto, che miete in Italia una vittima ogni 5 minuti, ferendone crudelmente il cuore e l’animo della madre che lo commette»
Avete mai subito attacchi da contestatori?
«Lo scorso ottobre avevamo organizzato un piccolo aperitivo autorizzato all’interno dell’Università “La Sapienza” di Roma, con volantini da distribuire agli studenti. Un gruppo di femministe dell’associazione “Non una di meno” e di ragazzi dei centri sociali di estrema sinistra si sono opposti alla nostra iniziativa. Hanno protestato con uno striscione e hanno gridato al megafono espressioni volgari contro di noi. Urlavano: “Fuori i pro life dall’università!”. Alcuni ragazzi sono stati particolarmente aggressivi con noi, giungendo quasi alle mani – e pensare che nei loro statuti scrivono di essere contro la violenza maschile sulle donne! Ma non tutto il male viene per nuocere, in quanto il video della contestazione ha scatenato naturalmente commenti negativi anche da parte di chi non la pensa come noi».
Infine quali sono le prossime iniziative che avete in cantiere?
Continueremo sicuramente con l’attività di formazione e gli aperitivi nelle università, espandendo il raggio d’azione anche in altre.
Poi organizzeremo prima della Marcia per la Vita un incontro con studenti da tutta Italia interessati alla nostra realtà, una riunione in cui confrontarci e capire il modo migliore per difendere la vita ed essere pro life nelle università.
Stiamo inoltre concludendo uno studio che alcuni di noi hanno condotto sulla legge 194 a 40 anni dalla sua approvazione, con un confronto tra varie categorie di dati presi dal sito ISTAT, come ad esempio il numero di aborti nelle varie regioni d’Italia. Questo per avere un quadro più chiaro della legge iniqua che dalla sua approvazione ha ucciso circa 6 milioni di bambini.
Infine, vogliamo espanderci anche nelle scuole superiori ed iniziare a creare lì gruppi di studenti pro life. Chi lo sa se un giorno nasceranno anche i Liceali per la Vita…
Fabio Piemonte