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Se questo è un bambino…

Oggi è la Giornata Mondiale per i diritti dell’Infanzia e in giro per il web la discussione si concentra solo sui paesi mediorientali e africani mentre nessuno si interroga se nei paesi occidentali questi diritti siano rispettati. La risposta affermativa sembra banale e scontata ma la realtà dei fatti è ben diversa.

Alcune settimane fa ho letto di un episodio accaduto a Terni. Un cliente di una pasticceria si è lamentato perché è stato servito da un ragazzo affetto dalla Sindrome di Down; subito il gestore del locale ha scritto un post su Facebook dove si difendeva il dipendente affetto da trisomia 21 e attaccava l’atteggiamento discriminatorio del cliente. Inutile dire che (giustamente) è esplosa l’indignazione tra gli utenti dei social tanto che la notizia è stata riportata su giornali e telegiornali a livello nazionale.

Alcuni giorni fa invece ho letto il post di un utente Facebook, tale Martina (non citerò il cognome per motivi di privacy), che sosteneva che abortire il feto di un bambino a cui è stata diagnosticata la Sindrome di Down non solo è giusto ma è addirittura doveroso poiché non avrebbe vissuto in modo felice e normale (sarebbe interessante approfondire in cosa consiste questo standard di “vita felice e normale”). Questo post non ha suscitato alcuna indignazione (se non di pochi), al contrario ha riscosso molti consensi.

Ora io mi chiedo che differenza c’è tra il post di Martina e la lamentela del cliente della pasticceria? Nessuna.  Tutti e due contribuiscono ad affermare una cultura per la quale se si è affetti da una qualsiasi forma di disabilità non si è degni di vivere… non ricorda qualcosa? A me personalmente sì  ma la riduzione “ad Hitlerum” (ed in questo caso all’eugenetica nazista) è troppo semplice perciò vi invito a riflettere su un altro aspetto della questione.

La nostra società predica accettazione e amore verso le persone in difficoltà ma non sempre è pronta a prendersene cura. Non ci sono vere e proprie leggi che tutelano le persone con disabilità; dei primi notevoli passi avanti sono stati fatti con la legge “Dopo di noi” ma  fino a quando “noi”, inteso come società,  non smetteremo di avere pregiudizi su  queste persone esse non potranno vivere una vita “felice e normale”.

Siamo noi la causa dell’esclusione dei disabili. Per rispondere al post di Martina e di tanti che la pensano come lei: il problema della presunta infelicità delle persone disabili non è colpa della malattia ma nostra. La colpa è solo nostra. Di una società che predica bene e razzola male. Finiamola con questa ipocrisia! Disabilità non vuol dire infelicità: certo, queste persone hanno maggiori difficoltà per affrontare le sfide della vita ma ciò non vuol dire che la loro non sia una vita degna di essere vissuta.

Il grado di civiltà di una nazione si misura in base alla sua capacità di prendersi cura delle persone più deboli e finora i “civilissimi” paesi occidentali non sembrano in grado di farlo. Fino a quando un bambino a cui è stata diagnosticata una qualche forma di disabilità potrà essere ucciso nel grembo della madre nessun paese occidentale potrà autodefinirsi realmente civile. Possiamo parlare di diritti dell’infante se viene negato il diritto imprescindibile della vita? Io credo di no.

 

Erika Fancelli

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