IL DONO
Siamo a dicembre e per le strade già si percepisce il clima natalizio: luci, addobbi, panettoni e….Regali!
Mai come in questo periodo si fanno regali ma troppo spesso ci si dimentica il significato di questo gesto. Donare è un segno di affetto verso una persona a cui teniamo, un modo per dimostrare gratitudine a chi ci è stato vicino e ci ha aiutato. L’adozione è ciò che incarna meglio questo concetto. Una coppia che fa una scelta simile compie il più grande gesto d’amore immaginabile: dona gioia, felicità, serenità e affetto sia al proprio figlio che ad una famiglia. Per questo motivo noi Universitari per la Vita abbiamo voluto fare a nostra volta un dono in segno di gratitudine per queste persone:da oggi fino al 25 dicembre, ogni giorno sarà pubblicata una testimonianza di una famiglia adottiva o di una persona adottata o una foto a sostegno dei genitori che hanno scelto l’adozione anzichè l’aborto, che hanno scelto la vita e non la morte. Vi invitiamo a partecipare all’iniziativa inviandoci una testimonianza o una foto con un cartello con # ufficiale : #L’AbortononèlasoluzioneWl’adozione ….in fondo a Natale siamo tutti più buoni 😉 .
Per il primo giorno abbiamo pensato di fare un’intervista ad uno dei nostri componenti:Francesco Chilla. La testimonianza è molto toccante e non vi nascondiamo di esserci emozionati mentre ascoltavamo le risposte.
Ciao Francesco. Innanzitutto grazie per la tua disponibilità.
Prego. Per me è un piacere.
Qual è il tuo paese d’origine?
Il mio paese d’origine è l’India. In particolare sono nato a Panipat, una cittadina dello Stato dell’Haryana, una novantina di chilometri a nord di Delhi.
A che età sei arrivato in Italia?
Sono arrivato in Italia a 6 anni e 10 mesi, nel luglio del 2001. Purtroppo mi sono perso lo scudetto della Roma. Pazienza.
Come hai saputo di essere stato adottato?
Essendo stato adottato da grande, più che altro ho fatto il percorso inverso, cioè ho imparato che mamma e papà avevano un ruolo speciale nella mia vita e non solo quello di educatori che avevano le suore con cui ero cresciuto fino ad allora, cioè le Missionarie della Carità, l’ordine di Madre Teresa di Calcutta. E garantisco che è stato un vero privilegio essere cresciuto con donne dalla schiena dritta, ma con occhi luminosi e sempre col sorriso. E la domanda “da dove vengo?” io posso rispondere “dalle braccia di chi ha soccorso con la carità del Cireneo il Cristo che porta la Croce”.
Come ti sei sentito nel primo periodo?
Un po’ disorientato…lingua nuova, paese nuovo, cibo nuovo. In realtà erano cose che avevo già affrontato, visto che avevo girato parecchio, difatti imparai molto velocemente l’italiano, considerando che a settembre, quando incominciai la prima, già lo parlavo perfettamente. Più che altro soffrii il fatto che non c’erano altri bambini, ma solo due fratelli grandi e dispettosi, ma d’altro canto imparai abbastanza velocemente i nuovi privilegi, compresi quelli del figlio minore.
Come ti senti ora?
Come mi sento? Direi bene, contento della vita e senza più recriminazioni. Con le mancanze che ho e che porterò a vita ho imparato a conviverci, anche se gli aspetti caratteriali e la quasi cecità che porto in eredità non sono una passeggiata. Ma una cosa che mi caratterizza, anche nelle mie imperfezioni, è che ho speranza nella Provvidenza, perché vedo che mi ha accompagnato con dolcezza sempre.
Se hai avuto delle difficoltà quali sono state?
Le mie difficoltà sono state molte. Passare da un contesto in cui non si ricevevano particolari attenzioni ad uno in cui se ne ricevono molte, se da un lato è stato il bene più grande che ho ricevuto, dall’altra mi hanno obbligato ad allenarmi alle relazioni e a non chiudermi come la mia natura mi porterebbe a fare. Per quanto riguarda il mio handicap visivo (dato da un combo di malattie congenite agli occhi), la croce se la sono caricata i miei…adesso che ripenso a tutti i giri che hanno fatto nella mia infanzia…su questo aspetto vivo veramente di rendita.
Com’è il rapporto con i tuoi genitori adottivi?
Un rapporto di gratitudine. Ma non la gratitudine dello schiavo emancipato o del prigioniero liberato, ma la gratitudine di chi, spoglio di tutto, ha visto restituirsi un’identità, di chi ha ricevuto fiducia e può, convivendo coi propri limiti fisici e personali, pensare a vivere con realismo, ma anche coltivando sogni, senza più la paura dell’impotenza perché ha imparato che in ogni difficoltà c’è una mano tesa. Che poi, penso che questo dovrebbe essere l’atteggiamento di ognuno, sia nell’afferrare la mano, sia nel porgerla.
Vuoi dirgli qualcosa?
Conosco una parola che è tra le più svilite dalla nostra cultura, è una sola e usatissima, ma credo che non servono altre parole che questa: grazie.
Hai dei ricordi della tua vita pre-adottiva? Cosa provi al riguardo?
A voglia se ne ho! Fondamentalmente sono sprazzi di vita che sono diventati più nitidi col passare degli anni, perché ho imparato a non ripudiare la mia vita precedente, nel senso che ho superato la dicotomia “prima dell’adozione-dopo l’adozione”. Ovviamente ricordo i momenti emotivamente più forti, come l’esaltante gara di corsa tra i pulmini (gialli) che ci portavano allo zoo di Delhi, oppure il pianto inconsolabile quando arrivai a Calcutta (sì, ho vissuto un anno nell’orfanotrofio che fanno vedere sempre in TV quando parlano di Madre Teresa). Più che altro li ricordo come sprazzi. Per il resto il mio ricordo è un costante senso di smarrimento, più che altro perché non avevo dei punti di riferimento forti e concreti a cui potevo guardare, cosa che invece ho avuto poi. È solo col passare degli anni e gli occhi di chi è cresciuto che ho capito quanto amore avessero avuto le suore, non perché voglia vederci per forza del bene, ma perché ho imparato che a volte l’amore può apparire spoglio di ogni emozionalità, ma che si rivela nei puri e semplici gesti.
Com’è il rapporto con i tuoi genitori naturali?
Fu un colpo per me prendere atto che ogni tipo di documento che poteva portarmi almeno a scoprirne qualcosa era diventato irreperibile. Tagliato anche l’ultimo filo che potesse legarmi a loro. Ma oggi com’è oggi, a parte un piccolo senso di rammarico, non mi straccio le vesti. La mia vita va avanti, la loro procede com’è sempre proceduta. L’unica cosa che faccio è chiedere a Dio che siano felici e siano consolati.
Vorresti dirgli qualcosa?
Vorrei dire tante cose, più che altro avrei miliardi di domande. Quella che mi preme di più è se si sono amati. Per il resto, una volta forse avrei chiesto se mi volevano bene, poi, più avanti, se erano orgogliosi di me. Forse oggi cercherei di scoprire piuttosto cose su di loro che uomo e che donna sono stati e sono oggi. Resta il fatto che ci sono domande a cui non si potrà avere risposte se non post mortem, soprattutto penso alla prima che ho detto. E vabbè, aspetterò.
Manda un messaggio a chi ci sta leggendo
Quello che vorrei dire a chi legge è che non siamo padroni della nostra vita. Possiamo illuderci di controllarla, ma noi siamo solo dei piccoli marinai su piccole barche in mezzo all’immenso oceano. Siamo tenuti a ben governare la nostra piccola nave, ma dobbiamo anche sapere che nella vita potrebbero arrivare, anzi, arriveranno onde indomabili e noi non sappiamo dove ci porteranno. Perciò, care ragazze e care donne, se doveste vivere una “gravidanza indesiderata” pensate che una vita bella ce l’ha anche un figlio degli slums indiani e che non poteva beneficiare a dovere della vista, in India, un condannato a morte certa. Parafrasando Tolkien, noi siamo come piccoli tasselli della Grande Storia e siamo chiamati ciascuno a dare il nostro contributo e, seppur piccolissimi, ognuno di noi è indispensabile.Se i miei genitori naturali sapessero tutte le possibilità che mi hanno dato facendomi nascere, penso che resterebbero come minimo storditi.Ogni vita è come un treno: basta lasciarlo partire e poi va da solo. Ed è importante fidarsi del prossimo, perché potrebbe essere la salvezza propria e di chi si ama, ad esempio la salvezza di un figlio che si lascia davanti ad una porta per poi voltarsi e non vederlo mai più.
Come da prassi, dovremmo aggiungere un commento ma le parole di Francesco ci sembrano già abbastanza illuminanti sul significato profondo dell’adozione. Cogliamo perciò l’occasione per ringraziarlo ancora una volta e ricordiamo: l’aborto uccide.
L’adozione salva.
Universitari per la Vita