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Una testimonianza per la vita dall’Ucraina.

In questi giorni la drammatica situazione che sta vivendo l’Ucraina sta tenendo tutto il mondo con il fiato sospeso. Eppure, anche in una situazione dove sarebbe comprensibile lasciarsi andare alla disperazione, c’è chi riesce nonostante tutto a portare una testimonianza luminosa.

Suor Giustina Olha Holubert è la fondatrice dell’associazione Perinatal Hospice – Imprint of Life di Lviv, in Ucraina, che si occupa di accompagnare i genitori che si trovano ad affrontare malformazioni gravi del bambino quando si trova ancora nel grembo materno.

In Ucraina l’aborto è legale. Oltretutto, come riportato da Suor Giustina nella sua testimonianza al convegno “Yes to Life” del 2019:

“In Ucraina, il Sistema Sanitario è pubblico e non ci sono ospedali cattolici che possano assistere le donne in gravidanza. Per questo motivo è presente la mentalità proaborto in diversi luoghi medici”[1]

Quando si incrociano la diagnosi prenatale con la prevenzione delle malattie ereditarie, e nel caso di diagnosi di malformazioni, spesso si procede con l’aborto. Ma, come riportato da suor Giustina, “nonostante ciò, sta aumentando il numero delle giovani coppie che anche dopo la scoperta delle malformazioni del feto o gravi patologie non trattabili, decidono di continuare la gravidanza fino al momento della nascita del bambino e di accudirlo fino all’ultimo momento della sua vita. La verità, purtroppo è che molto spesso queste famiglie rimangono da sole con il loro problema, e in più, circondate dall’incomprensione da parte dell’équipe medica, della società e a volte anche dai loro parenti.”[2]

Per questo suor Giustina ha deciso di fondare l’associazione, la prima in assoluto che si occupa di cure perinatali palliative in Ucraina. Il motto dell’organizzazione è: Non posso dare giorni alla tua vita, ma posso dare vita ai tuoi giorni”. Nessuna vita è indegna di essere vissuta, per breve che sia. A chi le chiede cosa si può fare in queste situazioni, suor Giustina risponde:

“Certo, non solamente si può fare qualcosa, ma si deve fare. Siamo convinti che non esiste un piede così piccolo da non lasciare la sua traccia in questo mondo. Ogni vita lascia il suo segno.

In queste situazioni si sottolinea che si riconosce la vita, prendendosi cura e nello stesso tempo considerando la morte come una parte intrinseca della vita umana. Questa cura della vita rinforza i genitori nel continuare la gravidanza, apprezzando ogni momento, anche breve per rimanere con il proprio figlio; aiuta i genitori a prendere la decisione riguardo il parto e ad accettare gli interventi che sono eticamente permessi prendendosi cura del bambino durante il breve periodo della sua vita.”[3]

E anche se adesso la situazione in Ucraina è a dir poco drammatica, suor Giustina continua a svolgere la propria missione con amore e competenza, certa che la vita dei piccoli che accudisce valga più di tutto, perché “difendere e sostenere la vita, rispettarla e amarla, questo è il compito che ha dato Dio ad ogni persona. La vocazione a servire la vita vuol dire seguire Gesù che ha servito i poveri, era misericordioso con malati e non lasciava nessuno senza la sua attenzione. Servire. Questa è una vocazione a mostrare la compassione alla Vita intorno a noi. Un cristiano con la sua vita, il suo comportamento e il suo ministero può raggiungere i cuori dei suoi vicini, amici, colleghi, aprendo loro la strada della verità – unione con Dio e gli altri. Diffondendo in questo modo già sulla terra il Paradiso[4].

Marco Pirlo

Vedi anche: Ucraina, suor Giustina: rimarrò al fianco dei neonati terminali.


[1] Atti del Convegno internazionale “Yes to Life!Prendersi cura del prezioso dono della vita nella fragilità”, p. 221, 23-25 maggio 2019, Città del Vaticano.

[2] Ibidem.

[3] Ivi, p. 225.

[4] Ivi, p. 222.

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