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Battaglia pro-life in Usa, Messico e El Salvador

Gli effetti ci sono stati, eccome. La nuova legge pro-life denominata «del battito cardiaco», emanata in Texas, scatenando le ire della galassia pro-choice e del presidente Biden, ha prodotto conseguenze immediate: una volta entrata ufficialmente in vigore, si è dimessa dall’incarico quasi la metà dei medici della Whole Woman’s Health ovvero della più grande struttura abortiva americana, assieme a Planned Parenthood. Ora sono solo 8 le cliniche di questo tipo rimaste in funzione nello Stato contro le 17 attive prima del primo settembre.

La normativa è detta «del battito cardiaco» in quanto vieta l’aborto, anche in caso di stupro o incesto, dal momento in cui sia possibile rilevare il battito cardiaco fetale, vale a dire, in genere, entro la sesta settimana di gravidanza.

Le ore, che hanno preceduto la promulgazione della legge, hanno segnato però un’ecatombe: i medici del Whole Woman’s Health di Fort Worth hanno eseguito il maggior numero di aborti possibile. Uno di loro ne ha eseguiti 67 in sole 17 ore, una strage, sapendo che, dopo, la sua carriera avrebbe potuto risultare compromessa da una simile attività.

Un paletto importante con questa normativa è stato certamente fissato, anche se la battaglia è appena iniziata: il sedicente “cattolico” Biden ha subito dichiarato «apertamente incostituzionale» la legge del Texas, la sua amministrazione ha cercato di bloccarla con un ricorso, bocciato tuttavia dalla Corte Suprema in virtù di «complesse e nuove questioni procedurali».

Questo non blocca, tuttavia, il quartier generale democratico: il governatore di New York, Kathy Hochul, altra “cattolica” a parole, si è subito premurata d’informare che nello Stato da lei retto, «le donne del Texas» intenzionate ad abortire troveranno qualunque aiuto, di cui avessero bisogno, compreso «un trasporto sicuro», non si sa se addirittura con fondi pubblici: «Non siete sole – ha detto, rivolgendosi alle madri decise ad uccidere il figlio, che tengono in grembo. – La Statua della Libertà è qui per accogliervi a braccia aperte», ha dichiarato, con foga radicale, Hochul, pronta a mettere a punto, assieme al suo Dipartimento della Salute ed agli “esperti” delle sigle abortiste più spinte, una sorta di guida per la fornitura di servizi di aborto nello Stato di New York oppure aborto chimico anche “a distanza”: «I diritti di coloro che cercano servizi abortivi saranno sempre protetti qui», ha proseguito il governatore, aggiungendo di aver inviato una lettera a Facebook lo scorso 13 settembre affinché censuri ed oscuri i profili pro-life, “rei”, a suo dire, di «disinformare sull’aborto».

Il fatto che soggetti così, spinti da una veemenza tanto estrema, da non risultare più ideale bensì chiaramente ideologica, si definiscano pubblicamente “cattolici”, benché in aperto e chiaro contrasto col diritto naturale e con la Dottrina cattolica, richiama il famoso passo del Vangelo di Matteo, laddove si parla dei «sepolcri imbiancati» (Mt 23, 27-28).
Segni di speranza stanno germinando, comunque, anche altrove, non solo in Texas: altri Stati americani stanno valutando di adottare provvedimenti analoghi alla legge «del battito cardiaco», come Arkansas, South Dakota e Florida. Non solo: il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, ha categoricamente escluso che il progetto di riforma della Costituzione, studiato dall’Assemblea legislativa, possa legalizzare aborto, “nozze” Lgbt ed eutanasia. «Non proporrò nessuna di queste cose, indipendentemente dalla pressione internazionale, cui io possa essere sottoposto», ha dichiarato su Facebook, non senza coraggio. In El Salvador attualmente la vita è tutelata dall’istante del concepimento sino alla morte naturale, mentre il matrimonio riconosciuto è solo ed esclusivamente quello tra un uomo ed una donna.

Non a caso il presidente Bukele ha concluso il proprio messaggio, ponendo il suo Paese nelle mani di Dio ed assicurando di voler mantenere sempre «i nostri principi e la nostra fede in Dio, come forza che guida tutte le nostre azioni. El Salvador potrà progredire solo se Lui lo permetterà», ha precisato.

Intanto, c’è ancora una Chiesa che combatte: in Messico l’arcidiocesi di Xalapa ha proclamato un giorno di lutto lo scorso 20 settembre, esattamente due mesi dopo la depenalizzazione dell’aborto nello Stato di Veracruz (di cui Xalapa è la capitale), a causa delle due sentenze varate dalla Corte Suprema di Giustizia, «così dannose per il tessuto sociale», ma anche e soprattutto per il clima morale e spirituale. I rintocchi tristi delle campane, a mezzogiorno in punto, hanno scandito in tutte le chiese ed in tutte le cappelle dell’arcidiocesi il monito ed il richiamo alla preghiera per tutti i bambini mai nati, per i quali sono state celebrate le Sante Messe, conclusesi con orazioni appositamente scelte. D’ora in poi il giorno 20 di ogni mese le celebrazioni eucaristiche verranno dedicate ai nascituri, dono e meraviglia della vita, con una benedizione per le donne in dolce attesa e per i loro figli. La chiamata a raccolta è per il prossimo 3 ottobre, quando nella capitale messicana si terrà la Marcia nazionale per la Vita, organizzata dalla Conferenza episcopale. 

Autore: Mauro Faverzani

Fonte: Corrispondenza Romana

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