Cos’è l’obiezione di coscienza?
“Uno degli ostacoli principali è l’obiezione di coscienza diffusa del personale medico e parmedico. La media di obiettori di coscienza è del 70%, che però raggiunge punte, lo leggo qui, a Bolzano l’84,4% sono obiettori di coscienza, ma anche in Lazio il 78,7%, in Molise il 96,9%, quindi in Molise la legge non è applicata per niente, in Puglia l’86%, in Basilicata l’88%, quindi ci sono intere regioni che non applicano la legge, per questa obiezione di coscienza diffusa, che io non voglio mettere in discussione, non mi permetterei mai, come scelta individuale, dico però che le strutture pubbliche si devono mettere in condizione di poter applicare una legge dello Stato.”
(Intervista 21 maggio 2018 all’Onorevole Emma Bonino – https://video.repubblica.it/cronaca/aborto-40-anni-della-194-bonino–legge-fondamentale-ragazze-di-oggi-non-diano-questo-diritto-per-scontato/305395/306024)
Che cos’è l’obiezione di coscienza? Come si configura nel nostro ordinamento giuridico? È davvero un ostacolo all’applicazione di una legge dello Stato o espressione di un diritto costituzionalmente garantito? E in quale rapporto si pone rispetto alla legge 194/1978 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza)?
Prima di rispondere a queste domande occorre riflettere sul concetto di “coscienza”: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienzae devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”, partendo dal preambolo alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, come spiega bene il Dottor Giacomo Rocchi, magistrato e Consigliere della Corte di Cassazione, nel suo saggio intitolato “Coscienza senza diritti?”, la coscienza è ciò che distingue gli esseri umani. È una legge che risuona all’interno dell’uomo e giudica il suo operato: la coscienza morale ingiunge all’individuo, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male; giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive. La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto.
Quindi si tratta di qualcosa che riguarda ogni singola persona, non una collettività; è una cosa intima, strettamente personale; ha a che fare con l’uso della ragione e la libertà: il richiamo della coscienza mette in moto la ragione e determina una scelta libera dell’uomo; la coscienza richiama ad una legge non scritta dalla persona – e da nessun altro uomo – ma “scritta nel suo cuore” (le religioni affermano che la legge è scritta da Dio, ma la legge 772 sull’obiezione di coscienza al servizio militare faceva riferimento a “profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali” del soggetto); infine – e soprattutto – questa legge scritta nel cuore dell’uomo è vincolante.
L’obiezione di coscienza trova fondamento nel nostro ordinamento giuridico all’interno del dettato costituzionale che stabilisce che: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili individuali, tra i quali anche quello di aderire liberamente alle varie impostazioni culturali e ideologiche presenti nella società, che potrebbero anche essere in contrasto con quella maggioritaria di cui l’ordinamento è espressione. Il cittadino in quanto tale è tenuto al rispetto della norma positiva ma nel caso di profondi contrasti con i propri principi morali il cittadino può essere eccezionalmente autorizzato dalla norma stessa a rifiutare l’adempimento di un obbligo fissato dalla legge (Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Commentario…, 36).
L’obiezione di coscienza, pertanto, fa appello al singolo e alle sue scelte valoriali e, allo stesso tempo, è innegabile il riferimento all’integrità morale della professione, ossia gli scopi e valori propri della medicina. Possiamo dunque affermare che l’obiezione di coscienza si muove tra due polarità che si richiamano vicendevolmente: la prima attiene all’obiezione professionale, ovvero il “no” pronunciato verso azione e gesti che contraddicono il significato riconosciuto di medicina, mentre l’altra polarità si riferisce all’obiezione giustificata in base a convincimenti personali, protetta sia sotto il profilo deontologico che giuridico. L’obiezione di coscienza ha un peso maggiore quanto più basata su valori fondamentali per la professione medica (il rifiuto dell’eutanasia, per esempio, può essere motivato sia riferendosi a consolidate e condivise regole deontologiche sia alla coscienza del singolo), per questo motivo il rilievo dell’appello alla coscienza è tanto più forte quando invocato a causa e in ragione dell’essere medico prima ed oltre che per motivi religiosi e culturali (tratto da “Manuale di Deontologia medica” Tavani, Picozzi, Salvati – Giuffrè editore 2007).
Comprendiamo, allora – afferma sempre il Dottor Rocchi – cosa significa obiezione di coscienza: l’uomo che ascolta la sua coscienza percepisce il dovere di astenersi da determinate azioni che gli proviene da una legge che egli, con l’uso della ragione, riconosce esistente; quando una legge dello Stato lo obbliga a compiere quella azione, egli si trova di fronte a due leggi che contengono due imperativi contrapposti.
Lo Stato gli intima: “devi fare questa azione” e lo minaccia di una sanzione se non obbedisce; la coscienza e la ragione gli intimano: “non devi fare questa azione” ed egli comprende che la “sanzione” è la perdita della sua dignità. Quando l’uomo è davvero libero, egli obietta al dovere imposto dalla legge statale, affermando: “Non posso, non devo farlo, la mia coscienza me lo vieta!”.
Rachele Lovatti