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Perché diciamo NO alle DAT

Senza velleità alcuna, ma con il massimo impegno che ho potuto profondere, vorrei dare un’opinione sulla recente legge in materia di “dichiarazione anticipata di trattamento” (legge 219 del 2017) che a mio avviso presenta alcune problematiche:

  • C’è la possibilità concreta che la volontà del paziente muti nel momento in cui si viene a trovare proprio nella situazione per cui affermava di preferire l’eutanasia. Argomentazione che, lungi dall’essere aleatoria, ritengo che possa essere credibile, in quanto non sempre una persona ha realmente l’idea della situazione a cui va incontro verosimilmente senza averla mai affrontata;
  • Comporta il progressivo svuotamento del ruolo del medico che, da profondo conoscitore della condizione in cui si trova il paziente e attuatore delle misure necessarie alla sua cura, diventa mero esecutore della volontà che ora è del paziente ma, come conseguenza naturale, in futuro potrà essere dello Stato. Si ha quindi la rottura del fondamentale rapporto di umanità, responsabilità e reciproca fiducia che dovrebbe legare ogni paziente al suo medico;
  • Obbliga la volontà delle persone che circondano il paziente a sottostare ad una volontà che in quel momento non può esprimersi, togliendo la speranza al paziente di guarire, ai cari di cercare soluzioni e ai medici di sforzarsi per amore del paziente e della propria scienza.
  • È molto inquietante il fatto che sono considerati come “trattamenti sanitari” la nutrizione e l’idratazione “in quanto somministrazione, su prescrizione medica”, come se per dare la pappa al bambino servisse la ricetta del pediatra.

 

In un’intervista del 14 dicembre 2011 a Il Fatto Quotidiano, il Presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky dichiarava: “Se la gran parte dei casi di suicidio deriva da ingiustizie, depressione o solitudine il suicidio come fatto sociale ci pone una domanda. Può la società dire: va bene, togliti di mezzo, e io pure ti aiuto a farlo? Non è troppo facile? Il suo dovere non è il contrario: dare speranza a tutti? Il primo diritto di ogni persona è di poter vivere una vita sensata, e a ciò corrisponde il dovere della società di crearne le condizioni.”.

Quello che ci si chiede è: dove finisce la dignità dell’arte medica? Sì, arte. Perché coinvolge totalmente la persona che svolge tale professione nella sua razionalità e nella sua umanità. Perché mettere un preservativo alla coscienza dei medici ché “tanto c’è l’eutanasia” e poi va a finire così: “qua i costi dell’ospedale sono troppo alti, perciò ammazziamo lui, lei e quell’altro”. Solo che mentre puoi far annullare un atto ingiusto da un giudice, una vita non la puoi recuperare. Dettagli.

 

C’è un ulteriore problema che grava su ogni legge inerente temi eticamente sensibili: infatti gli abusi in giro per il mondo sono la norma. Ad esempio in Canada, su circa 270 casi di eutanasia, ce ne sono stati 21 di abusi per i quali non si sono presi ancora provvedimenti (“Eutanasia. In Canada aumentano i medici obiettori” di Tempi.it del 28 febbraio 2017). E si tratta di un paese civile.
“Ma una legge ben fatta può evitare gli abusi!” dirà qualcuno, però un aforisma arcinoto dice “fatta la legge, trovato l’inganno”. Infatti, per fare un altro esempio, è stata uccisa con eutanasia in Olanda una donna che esplicitamente non voleva morire (“Olanda. Chiede di vivere, uccisa dall’ eutanasia” di Tempi.it del 30 gennaio 2017). Ma, per l’appunto, in Olanda e in Belgio purtroppo è solo una goccia nel mare degli abusi di persone soppresse senza il loro consenso.

 

Andando alcune volte come Universitari per la Vita a trovare le persone malate negli ospedali, vedevamo che erano contente anche solo perché qualcuno le andava a trovare, che ascoltava le loro storie e le loro sofferenze (l’ultima volta l’immagine più bella era il marito 90enne che teneva la mano della moglie 80enne allettata per delle piaghe e con cui parlava a bassa voce).
No, non tutti quelli che incontri sono credenti con l’icona della Madonna sul comodino. Pare strano: ma l’essere umano ha anche un’anima e spesse volte è l’anima a sorreggere il corpo, e non solo quando si tratta di malattia fisica, ma anche di situazioni relazionali e/o psichiche durissime, per cui non si tratta di ‘dolorismo’, anzi. Una presenza positiva vale più di mille filosofie, ma poi l’uomo è molto di più di un individuo è, come diceva Aristotele, un “animale sociale”, vi pare niente? I moribondi che venivano raccolti da Madre Teresa le dicevano “ho vissuto una vita da cani e muoio da re”, solo perché, pur impotente, lei e le consorelle li accudivano.
Ah, giusto per guarire dalla disinformazione, si può ben dire che Madre Teresa, quando poteva, portava i malati dai medici, per cui è una stupidaggine dire che li lasciava morire e basta. Non si tratta di ‘dolorismo’, ma di curare anche la spiritualità (in senso forte e cosciente) dell’uomo, oggi tanto bistrattata, e che pure potrebbe salvare tante vite e tante storie.

Ovviamente non voglio essere miope né in un senso né nell’altro.

Ritengo solo che a volte dobbiamo fidarci di quei bravi medici che sanno quando si deve accettare di non poter impedire la morte, pur senza omettere il sostegno vitale al paziente.
Il rifiuto di pratiche artificiali come l’utero in affitto o l’utilizzo di macchinari per la FIVET all’inizio della vita e l’ammissione di macchine artificiali alla fine della stessa, servono a sottolineare il binomio responsabilità e vita: ossia la vita si genera con atto responsabile di entrambi i genitori, mentre, al suo termine, la vita richiede la responsabilità di chi la cura e quella dei cari del malato.

 

Francesco Chilla

 

 

Note:

Legge 219/2017 in materia di consenso informato e dichiarazione anticipata di trattamento:
https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato115290.pdf

Per avere un’idea dell’evoluzione del testo:

Atto Camera 3599 proposta dai deputati Brignone e altri: http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0039130.pdf

Qui la discussione in Commissione: http://www.camera.it/leg17/126?tab=4&leg=17&idDocumento=3599&sede=&tipo=

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