Adozione: parola al giurista
Nell’ambito della campagna #ladozionesalva degli Universitari per la Vita, vorrei parlare proprio di cosa è l’adozione e com’è disciplinata in Italia.
Innanzitutto l’“adozione” è, secondo la Treccani, l’istituto giuridico che consente di formarsi una “filiazione civile”, cioè non già per vincolo di sangue, ma per un rapporto giuridico costruito sul consenso dell’adottante e dell’adottato o di suoi rappresentanti legali. Va poi chiarito che esistono due tipi di adozione: l’adozione legale dell’adulto e l’adozione del minore, che prevede il consenso dei rappresentanti dell’adottato che risulta ancora minorenne.
Escludiamo dalla discussione l’adozione legale in quanto non riguarda i bambini, che sono il centro della nostra attenzione. Va detto anzitutto che l’adozione non è un diritto degli adulti ad avere dei figli, come se fosse il soddisfacimento di un desiderio per le coppie che non hanno potuto averne e nemmeno un modo, per queste e le altre coppie che hanno avuto figli naturali, di sentirsi “più buone”, ma per garantire “Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia” (art.1 comma 5).
La legge, saggiamente, incomincia affermando che “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” (art.1 comma 1) e che “Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto” (art.1 comma 2) a cui provvederanno, ai sensi del comma successivo, lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali “nei limiti delle risorse finanziarie disponibili”.
Proprio per garantire il diritto del minore alla propria famiglia, dagli articoli 2 al 5 è disciplinato l’affidamento del minore a nuclei familiari o a istituti di assistenza, definiti comunemente come i servizi sociali, affinché i genitori non in grado di provvedere sufficientemente ai propri figli possano continuare a conservare una relazione con loro nella speranza di poter giungere ad una piena riunificazione del nucleo familiare.
In questi termini mi sorge un dubbio: com’è possibile che una legge dello Stato possa affermare che il bambino abbia il diritto supremo a poter stare con la propria famiglia e contemporaneamente un’altra legge permette che si possano uccidere i bambini nel grembo materno? Come può fondarsi un rapporto di fiducia su questa incongruenza? Tant’è.
Viste le condizioni poste dei primi articoli, lo stato di adottabilità del minore è dichiarata “dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano, i minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi” (art.8 comma 1).
Perciò appare chiaro come il fondamento dell’adozione è lo stato di abbandono, cioè l’assenza fisica e morale di coloro che dovrebbero, secondo natura e secondo buon senso, essere il padre e la madre del bambino. Questa è la medesima situazione che avviene per le donne che, non sentendosi in grado di accudire il proprio figlio, decidono alla nascita di lasciarlo in ospedale. Per quanto questo appaia assolutamente drammatico, è assolutamente pacifico che l’adozione sia proprio la soluzione miglioere per queste situazioni.
Qualsiasi figlio adottato affermerà senza esitazioni che essere vivo è meglio che essere morto nel grembo della madre e che essere nato è stato, seppur l’unico dono di lei, il più bello che abbia ricevuto assieme all’amore e all’affetto della famiglia adottiva.
Venendo proprio ai genitori adottivi, l’art.6 della legge sulle adozioni prevede una serie di requisiti per far sì che gli aspiranti genitori siano scelti: essere sposati o aver convissuto stabilmente per tre anni (cfr. commi 1 e 4); essere materialmente e affettivamente capaci di poter accogliere il bambino che intendono adottare (cfr. comma 2); la differenza d’età tra adottanti e adottato che non deve essere inferiore a diciotto e superiore a quarantacinque (cfr. comma 3, si vedano anche i commi 5 e 6).
Perciò, la notizia bellissima che vorrei dirvi è che, care donne che oggi soffrite per una scelta drammatica, se sceglierete di far nascere il bambino, se anche non potrete crescerlo voi, sarete certe che non finiranno tra le braccia di chiunque, ma tra le braccia di persone valutate fino in fondo!
Sì, anche dalla elefantiaca e lentissima burocrazia, che è un vero calvario che superano solo i più resistenti.
Francesco Chilla