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Il sale

Una vita.
Una vita che al suo nascere già è difficilissima, a causa di grandi sofferenze, dolore e solitudine.

Perdere un padre in guerra, la madre spentasi nel dolore e che lascia il piccolino appena nato a persone di cui si fida perché nella guerra ella stessa era stata affidata dal marito a costoro.

Ecco la luce.

Questo bambino cresce tra quelli a cui i genitori avevano riposto la fiducia e vive nelle cure, nell’amore, nel ricordo sempre vivo di coloro che l’avevano generato, non perdendo mai del tutto le proprie radici, seppur fossero per lui solo un ricordo, racconti e nulla più, educato da un uomo saggio e da una comunità di persone che gli hanno sempre voluto bene. Ha avuto una famiglia.

Altre difficoltà.

La guerra, la cattura e quattro anni di cattività spossante in cui l’ormai adolescente ha imparato a servire pur serbando il proprio orgoglio in fondo al cuore. Poi la fuga e tre anni vissuti da fuorilegge o da bestia braccata che si voglia.

Chi volete mai che sia un uomo del genere? Ma, soprattutto, può mai essere oggetto di racconti una persona del genere? Di più: potrà mai amare la vita?

Se ci fermiamo al racconto fino a questo punto, diciamocelo: la sua vita ha fatto abbastanza schifo.

Ma sapete perché a lui non ha fatto schifo? Perché ha conosciuto l’amore, i canti, la possibilità di avere una famiglia,  uno sguardo capace di cogliere il bello e il non essersi mai sentito discriminato, almeno finché è stato tra coloro che l’hanno amato, e questo è ciò che di più l’ha segnato e preservato nell’integrità dell’animo nelle sofferenze successive. Questo ha fatto sì che prendesse le decisioni che poi hanno cambiato la sua vita e, in modo prodigioso, quelle delle generazioni successive della grande storia di cui ha fatto parte.

Sto parlando di un personaggio assolutamente sconosciuto del legendarium di Tolkien, di Tuor figlio di Huor, che può aiutare a capire l’importanza capitale di questo figlio, il quale, se fosse vissuto nel nostro mondo e con i nostri canoni, non sarebbe sopravvissuto all’aborto. Questo è padre di Earendil, avuto dalla meravigliosa principessa elfica Idril di Gondolin, ed è il nonno di Elros ed Elrond. L’ultimo nome sono sicuro che lo conosciate e vi aggiungo che i Dunedain, quindi Aragorn, discendono dall’altro figlio, cioè Elros.

Tolkien, al solito grande conoscitore di cuori e degli uomini, ci racconta di quanto nessuna vita è inutile e che scegliendo se stessi ad una nuova vita, si rischia addirittura di privare il mondo di una persona che avrebbe potuto cambiarlo.

Dal verbo latino “patior” derivano tre termini italiani che possono aiutare a capire il personaggio: patire, passione e pazienza.
Il primo indica propriamente una sofferenza, il terzo indica il saper attendere.

La cosa interessante è il secondo: perché per noi è positivo, significa comunemente un moto dell’animo verso qualcosa o qualcuno, un trasporto emotivo, un anelito. Ma non è quindi la passione stessa un aspetto del patire? Non si può dire che il patire e il pazientare sono volti ad un desiderio e ad un’attesa di un bene? L’amore può, quindi, essere considerato un modo privilegiato del patire, spesso infatti l’amore non è qualcosa di scelto, ma qualcosa che nel profondo dell’anima si radica e spinge ognuno a fare gesti, a dire parole unicamente volte alla realizzazione di quel bene.

Un modo di esprimersi della passione è il coraggio, cioè andare verso l’ignoto pur di conseguirlo, essendo coscienti di affrontare forse qualcosa di insormontabile. Tuor, per proteggere la sua famiglia, Idril e l’ancor piccolo Earendil, affrontò un cammino lungo e difficile, dovendo abbandonare una città invasa e distrutta dai nemici, Gondolin.

A noi forse non è dato di vedere ed affrontare Balrog* e Draghi, ma ci sono cose della vita che somigliano moltissimo a questi. Inutile difendere la vita senza sapere cosa realmente le persone quotidianamente affrontano, ma Tuor a mio avviso ci insegna che per conseguire i beni inestimabili che la vita ha preparato per noi, servono saper patire, saper pazientare ed avere passione.

Francesco Chilla

Note:

Ho tratto le mie notizie dal Silmarillion (pp.299-308), un’opera di Tolkien, e dai Racconti Incompiuti (pp.37-86), un insieme di racconti riordinati e pubblicati dal figlio Christopher dopo la morte del professore.

L’immagine di copertina è “Ulmo” di John Howe, che mostra l’incontro di Tuor con Ulmo, un Vala, cioè una delle Potenze di Valinor che lo designò come suo messaggero e quindi strumento della Provvidenza.

*Balrog: per darvi un’idea, avete presente la scena “tu non puoi passare”? Ebbene, Gandalf affrontò un Balrog in quella scena.

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