La Consulta ha il dovere di rigettare il referendum della morte

Come ben noto ai più, l’Associazione Luca Coscioni ha intrapreso la raccolta firme per un referendum abrogativo dell’articolo 579 del Codice Penale, il quale sanziona l’omicidio del consenziente; l’articolo in questione stabilisce pene più miti rispetto alla fattispecie dell’omicidio volontario in assenza di consenso da parte dell’ucciso, salvo nel caso egli sia minore di età, incapace di intendere e di volere o il consenso sia estorto.
L’approvazione del referendum abrogativo determinerebbe una delle legislazioni più “liberali” del mondo in tema di omicidio del consenziente, dal momento che all’infuori delle tre fattispecie citate nell’articolo 579 che fanno ricondurre il reato all’omicidio volontario: qualsiasi persona maggiorenne capace di intendere e di volere potrebbe liberamente esprimere il proprio consenso ad essere ucciso da un’altra persona per qualsiasi motivo.
In seno alla sentenza 242 del 2019, la Corte Costituzionale aveva individuato quattro criteri concomitanti in cui circoscrivere il proprio giudizio di incostituzionalità della punibilità dell’aiuto al suicidio, cioè che la persona uccisa debba essere «(a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Alcuni dei promotori ingannevolmente affermano che i criteri stabiliti dalla Consulta per l’aiuto al suicidio varrebbero anche per l’attuazione di un’eventuale approvazione del quesito referendario, ma purtroppo non vi è nulla di più falso e anche Luciano Violante sulle colonne de La Repubblica lo riconosce, chiarendo che il referendum
«liberalizza ogni forma di omicidio del consenziente, anche se determinato, ad esempio, da una depressione, da un fallimento finanziario, da una delusione sentimentale, da una momentanea fragilità psichica e anche se commesso con mezzi violenti».
e domandandosi a fronte di ciò:
«Quale sarà il destino dei malati vecchi e poveri in una società che invecchia, con una sanità costosa, dove sia possibile sopprimere chiunque lo consenta?»
Se il referendum venisse approvato sarebbe anzi poco praticabile circoscrivere l’applicabilità ex post da parte del legislatore, bensì tale ipotesi è invece limitata ad un intervento legislativo precedente al quesito referendario stesso capace di disinnescare il ricorso alle urne. Tuttavia con l’attuale arco parlamentare tale evenienza è assai improbabile e testimonianza né è l’incapacità dimostrata da queste stesse Camere di legiferare a fronte dell’ordinanza 207 del 2018 della Corte Costituzionale che impose un ultimatum in merito di aiuto al suicidio.
Parimenti, all’interno della medesima ordinanza, la Consulta ha riconosciuto come non sussista alcun diritto a morire, bensì lo Stato sia chiamato alla tutela della vita di ogni individuo:
«Dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 CEDU – discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire. Che dal diritto alla vita, garantito dall’art. 2 CEDU, non possa derivare il diritto di rinunciare a vivere, e dunque un vero e proprio diritto a morire, è stato, del resto, da tempo affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, proprio in relazione alla tematica dell’aiuto al suicidio».
Inoltre, nell’ipotesi dell’approvazione del referendum, mancherebbe del tutto la definizione della procedura pratica con cui poter esplicitare in forma chiara e inappellabile il proprio consenso, rendendo ancor più evidente l’inapplicabilità diretta dell’abrogazione e la conseguente necessità che la Consulta dichiari il quesito inammissibile, similmente a quanto fatto recentemente per il referendum elettorale proposto da una moltitudine di Consigli Regionali, in quanto si sarebbe resa necessaria una riforma dei collegi elettorali.
Infine, il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, in un intervista ad Avvenire, ha sottolineato come la cosiddetta “normativa di rivalsa” prevedrebbe una pena per tutti i casi di aiuto al suicidio salvo in presenza delle quattro circostanze concomitanti individuate dalla Consulta, mentre l’omicidio del consenziente sarebbe legale sempre salvo nei tre casi non interessati dall’abrogazione, pertanto si ingenererebbe una normativa penale schizofrenica e si metterebbero «le basi di nuove ambiguità, nuove contraddizioni e nuove difficoltà interpretative in sede giudiziaria e costituzionale».
A fronte di queste considerazioni, sia per la palese incostituzionalità tanto del quesito in sé quanto della normativa derivante, sia per l’inapplicabilità diretta, la Corte Costituzionale non potrebbe non rigettare il quesito referendario abrogativo di parte dell’articolo 579 del Codice Penale e qualora ciò non avvenisse sarebbe oltremodo chiaro come essa non sia un organo istituzionale a garanzia del bene comune e, in particolar modo dei cittadini più fragili, bensì un’entità vilmente asservita alle ideologie dominanti.
Daniele Laganà
Nel recente confronto a In Onda su la 7 Cappato risponde al monsignor Sigalini: “Non faccia l’azzeccagarbugli…” e dice che per superare il vaglio della Consulta basta la formalità di non incappare sostanzialmente nei limiti del 75 Cost.
Ma così non sa o sottace alcuni aspetti: la Corte giudica dell’ammissibilità avendo come parametro anzitutto i limiti fissati dall’art. 75 Cost.: (leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali), pur interpretate nel senso più estensivo . Ma la Corte, a partire dalla fondamentale sent. 16/1978, ha introdotto anche altri limiti: leggi dotate di una particolare forza passiva perché la loro abrogazione potrebbe bloccare il funzionamento degli organi costituzionali e comportare violazione di obblighi europei, oppure quesiti che non abbiano un sufficiente coefficiente di coerenza e univocità, o siano “incompleti”, perché lasciano in piedi alcune disposizioni che derivano dallo stesso principio di quelle che si vorrebbero abrogare, sicché non risulterebbero chiare le conseguenze dell’abrogazione.
Evidentemente l’essere “pappa e ciccia” con la Consulta e’ spinto talmente in avanti che il “buon” Marco e’ stra-sicuro del fatto suo.
La Consulta non dovrebbe essere asservita all’ideologia.Ci sia lecito sperare che non sia così…
Inoltre sempre lo stesso Cappato va ripetendo che il quesito referendario interviene su una norma del 1930 come per dire (lasciando stare il giudizio sul codice penale in sè) che all’epoca non si potevano prevedere le problematiche di oggi.
In realtà il legislatore del 1930 aveva presenti casi di questo genere: la relazione del ministro Rocco, padre del codice ,infatti, menzionava l’eutanasia e chiariva il motivo dell’introduzione di una fattispecie di reato attenuata, la cui meno severa sanzione corrispondeva ad un giudizio più benevolo verso la persona che aveva acconsentito ad uccidere un infelice che glielo aveva chiesto; ma, specificava il ministro,”non si è voluto disciplinare una causa di esclusione del reato per il caso della cosiddetta eutanasia” proprio perché, sotto il vigore del codice previgente Zanardelli, i giudici si erano mostrati troppo indulgenti e avevano mostrato di voler forzare il dato normativo, giungendo addirittura ad assolvere coloro che avevano ucciso per un senso di pietà nei confronti di situazioni drammatiche: tentazione, verrebbe da osservare che si ripresenta ora che in tutte le direzioni possibili si cerca di introdurre l’eutanasia, largamente appunto intesa.
Ancora:
Altre mie considerazioni che ormai dovrebbero costituire un classico e alle quali pure si e’ sottratto dal rispondere Cappato:
io se devo credere in uno stato non dico laico ma tout court di diritto, devo credere che il quesito referendario come sbandierato ai quattro venti verrà respinto e non certo perché ci sarà stato lo zampino della Chiesa dietro, ma perché uomini come quelli delle nostre Istituzioni ovvero della Corte Costituzionale avranno fatto il loro dovere .In caso contrario dovrò rassegnarmi all’asservimento ideologico più totale e dovranno comunque spiegare agli Italiani il funambolismo con cui una sentenza sul 580 c.pe.(aiuto al suicidio) possa trovare applicazione in materia di 579 c.pe. stesso (omicidio del consenziente), visto quello che vanno dicendo i proponenti nel quesito referendario: “Con questo intervento referendario l’eutanasia attiva sarà consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul “Caso Cappato” [sul 580 ! N.dR. ], ma rimarrà punita se il fatto è commesso contro una persona incapace o contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni.”
La legge, specie quella penale, a ragione è precisa, specie in una materia così delicata.
Il nesso o, sarebbe meglio dire, la grande arrampicata sugli specchi, sarebbe rappresentata dall’espressione “con il suo consenso” che in sostanza figurerebbe in entrambe le fattispecie e giustificherebbe l’applicazione all’una di quello che è deciso per l’altra.
Ma “una volta” non esisteva il divieto di applicazione dell’analogia in materia penale (art.14 Preleggi: Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati)?
Ecco perché i Giudici dovrebbero onorare il loro compito, nella gran confusione terminologica che sussiste intorno all’eutanasia largamente intesa.
Ci riusciranno o prevarrà (al solito) il non potere/dovere smentire se stessi?
Benedetto Ferraro
Orbetello (GR)
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Grazie per la sua esposizione!
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